L’uomo al silicio
Giacca e cravatta, capo rasato,
magrissimi, sportivi, belli ombrosi,
sguardo sbiancato che e non si posa
mai sulle cose o altri volti o sguardi,
sfuggente magrezza che scivola via
nel sole, nell’ombra del centro,
in palazzi che covano dentro
anime al silicio, parole
che fuggono anch’esse sui monitor
come branchi di pesci nell’oblò
d’un sottomarino inabissato; emaciata
magrezza del potere finanziario
alla conquista del tempo
alla conquista d’un niente di numeri e cadaveri:
hanno mani magrissime e grondano sangue,
sguardi glaciali d’antichi mercenari
ma ignorano la smorfia del dolore,
né a loro importa di che rabbia, che livore
di terribili meduse sonnecchi
nel perenne ron ron del disco fisso,
nello zirlare di stampanti laser...
L’uomo provvisorio
E non si cura di se stesso, del suo seme:
lo spegne nel sangue, nella fame,
gli fa suggere l’uranio impoverito,
gli avvelena l’acqua, il pane
- ma vuole protrarre la sua vita oltre il tempo
come a prolungare un tormento...
Sembra giunto alla fine del suo ciclo,
sembra chiudersi il cerchio - non rinnega
tuttavia i millenni d’una brama nera
e senza occhi: ragione
fatta mito di sé, assoluta
fede nel futuro, chiusa
logica di un calcolo glaciale
(non ci sarà altro Dio all’infuori di lei).
Divagazioni di Gianmario lucini
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