FAHRENHEIT 2017
Librerie d'oggi: tempio "vuoto" di letture bovine e luogo di ritrovo per intellettuali politically correct che nonostante il crollo indecoroso delle idee nelle quali avevano creduto si atteggiano a persone colte e intelligenti.
di Francesco Lamendola
È
una grossa libreria, la più grossa della provincia; grossa e
ultramoderna. Non sorge in un quartiere cittadino, ma in mezzo alla
campagna industrializzata, a lato di una strada statale. Ci si va con
l’automobile, oppure non ci si va: esattamente come in uno dei tanti
centri commerciali che sono sorti come funghi dopo la pioggia, in questi
ultimi anni, da quando gli investitori finanziari si son trovati a
“dover” impiegare in qualche modo i loro capitali, e hanno dato il colpo
di grazia a quel che restava del piccolo commercio locale. Solo che lei
esisteva qui già da molti anni, da prima della globalizzazione, a suo
modo una pianta pioniera nell’isola vulcanica della post-modernità,
emersa decenni prima della Grande recessione del 2007.
Anch’essa,
naturalmente, si è modernizzata. Per molto tempo è stata una via di
mezzo fra un magazzino-deposito e una moderna libreria fornitissima, che
praticava lo sconto del 15% su tutti i libri. A suo modo, un ambiente
affascinante, dove ci si poteva imbattere, accanto all’ultima novità
editoriale, in un libro “dimenticato” da due o tre decenni e divenuto
ormai introvabile, con il prezzo rimasto inalterato nel corso del tempo.
Poi vi fu una ristrutturazione radicale, un trasferimento sull’altro
lato della strada, in un edificio nuovo di zecca: un parallelepipedo di
vetro e cemento, orientato in modo da attirare l’attenzione
dell’automobilista più distratto, con il nome stampato a caratteri
cubitali proprio sullo spigolo.
Si
è fatta un nome, non solo perché vi si trova, o vi si può ordinare e
ricevere in pochi giorni, qualsiasi pubblicazione, italiana o straniera,
ma anche, e forse soprattutto, per la frequenza degli incontri con
scrittori di ogni genere, romanzieri e biografi, economisti e storici,
poeti e perfino il militare in mephisto, che parla tutto il
tempo col passamontagna ben calato sulla testa e che mostra al pubblico
solamente gli occhi. Ed è molto amata da tutte le persone, e sono molte,
che si sentono un po’ intellettuali pure loro, naturalmente
progressiste e politically correct; quelle che, negli anni ’70
del secolo scorso (incredibile, ma sono proprio le stesse; più raramente
sono i loro degni eredi) ostentavano La Repubblica quando,
studenti universitari più o meno fuori corso – tanto, il treno della
storia non lo perdono mai, i progressisti: basta sedersi e aspettare
quel che succederà -, tiravano fuori il giornale formato tabloid, che fa
tanto lettore impegnato e moderno, sul treno o sull’autobus, mentre il
lettore meno politicamente corretto si arrabattava con chilometri
quadrati di carta per sfogliare difficoltosamente gli altri giornali,
goffi ed enormi al confronto, per non parlare delle giornate di vento,
quando l’impresa diventava pressoché impossibile, e si tingeva di
sfumature tragicomiche.
Ora
sono quasi tutti professori in pensione, alcuni baby-pensionati, cioè
felicemente in pensione dal fiore degli anni, e, dall’alto della loro
saggezza e del loro dolce far niente, nonostante il crollo indecoroso
delle idee nelle quali avevano tanto creduto, insistono ad atteggiarsi a
persone colte e intelligenti, che sanno tutto e hanno capito tutto, e
che leggono solamente, oggi come allora, libri molto politically correct.
Leggono Saviano e Gad Lerner, per intenderci, oppure Erri De Luca o,
magari, le memorie di Walter Veltroni. Se amano la storia, vanno pazzi
per Ernesto Che Guevara, hanno letto tutte le sue biografie e continuano
a sognare la revolución, hasta la victoria, siempre;
naturalmente, in nessuna di queste biografie hanno appreso, o hanno
voluto capire, che il “Che” è stato l’inventore dei campi di
concentramento nell’isola di Cuba, oltre che un ministro dell’industria
totalmente fallimentare; e che solo la sua “bella” morte (si fa per
dire) sulle montagne boliviane, mentre era ancora giovane e pieno di
fascino, col suo sigaro in bocca e il sorriso sprezzante, lo ha
consegnato al futuro sotto forma di santo patrono di tutte le guerriglie
e le rivoluzioni. Se invece amano la filosofia, i nostri bravi
intellettuali politicamente corretti leggono Cacciari e Galimberti, e,
quando ricevono l’insperata grazia di vederseli davanti in carne ed
ossa, si pigiano e si accalcano, sudati e felici, in un delizioso afrore
di ascelle sudate, alzandosi sulle punte dei piedi per imprimersi nello
sguardo almeno un debole riflesso di tanto splendore; e poi, all’uscire
dalla conferenza, in verità un lancio pubblicitario del loro ultimo
libro, neanche tanto mascherato, si attardano a discutere lungamente
l’incredibile e immeritato evento che ha riscaldato un poco i loro cuori
con la fiamma del Sapere e del Pensare.
Attenzione,
non bisogna lasciare orfani della Cultura i compagni di strada più
preziosi, il fiore all’occhiello del politicamente corretto: i cattolici
progressisti e modernisti, vaticansecondisti e bergogliani, kasperiani e
galantiniani; no di certo. E allora ecco qui per loro i libri di Enzo
Bianchi, per la teologia politically correct, e quelli di
Alberto Melloni, per la storia della Chiesa: saranno loro le nostre
guide, le nostre Sibille cumane nel labirinto del cattolicesimo evoluto,
maturo e, ben s’intende, solidale e misericordioso. Affidandosi alla
loro guida sicura, il lettore bene intenzionato potrà evitare gli scogli
pericolosissimi nella sua navigazione culturale, potrà riconoscere e
sbugiardare i teologi conservatori, come Antonio Livi, e i cattolici
retrogradi, come Roberto de Mattei. Meno male che ci sono loro! Già ci
confortano e ci ammaestrano, i Bianchi ed i Melloni, e molti altri della
stessa scuola, attraverso la radio e la televisione, con interviste
volanti e con rubriche fisse o semi-fisse; tuttavia, per nostra maggior
sicurezza ed edificazione, possiamo anche acquistare le loro opere e
porle sul comodino, alla sera, per poi addormentarci con un delizioso
senso di protezione, quale non si prova neppure recitando un Rosario
intero.
Forse,
però, amano sia la narrativa che la filosofia; in tal caso, che c’è di
meglio, per loro, che uno degli innumerevoli romanzi di Umberto Eco?
Invece, se sono affascinati dal teatro, Dario Fo è senza dubbio il loro
nume protettore: sono pronti a giurare sui suoi lazzi e sui suoi frizzi,
sentendosi tanto più intelligenti e spiritosi quanto più s’immedesimano
nella derisione sapida e spietata di quegli “altri”, i filistei, i
borghesi, i credenti, i “fascisti”, i reazionari, che il grande Premio
Nobel riserva a tutta quell’immonda plebaglia destrorsa e sanfedista. Se
poi i nostri bravi lettori amano la scienza, cosa di meglio che un
saggio di Piero o Alberto Angelo, o magari del padre e del figlio
insieme (con la lettera minuscola, per ora; in futuro, chissà…), o della
defunta Margherita Hack, o dell’impareggiabile Genio, il matematico
Piergiorgio Odifreddi, che si crede impertinente solo perché spara ad
alzo zero là dove sa di poterlo fare, ma si guarda bene dal tirare anche
solo con la cerbottana là dove non si può. Infine – bisogna pur essere
pluralisti e tolleranti – potrebbe darsi che il nostro lettore
intellettuale sia in qualche modo affascinato dal mistero, e allora
niente di meglio che i saggi di Massimo Polidoro per smontare, a colpi
di C.I.C.A.P., qualunque bizzarria sul soprannaturale, per ridicolizzare
fin l’ultima leggenda metropolitana, per demolire e spargere il sale
sopra il concetto di “miracolo”, di “guarigione straordinaria”; e, già
che ci siamo, per fare un bel minestrone con i cerchi nel grano, con gli
atterraggi dei dischi volanti, con i tavolini parlanti, le sedute
spiritiche, gli esorcismi, la telepatia e la chiaroveggenza, ovviamente
gettando tutto nel cestino della carta straccia, in nome dei
meravigliosi lumi della Dea Ragione. La quale, dai tempi di D’Holbach e
La Mettrie, ne ha fatta di strada, e ha perso anche un po’ del suo
smalto iniziale, eppure loro, i nostri anici, non se ne sono per nulla
accorti, vanno avanti sicuri e tranquilli verso le magnifiche sorti e
progressive della razionalità, brandendo il vangelo di Bertrand Russell,
certi e convinti che la storia finirà per premiare la loro fede, per
dar loro ragion. Anche se, in tutto il resto, non si può proprio dire
che lo abbia fatto – ma questo è il segreto di Pulcinella, lo sanno
tutti ma non bisogna dirlo, zitti, per carità, facciamo finta di niente,
ci resterebbero troppo male.
Ecco:
un amico ci trascina nel parallelepipedo di vetro e di cemento, e la
prima sorpresa è un bellissimo bar al piano terra, un bar coi fiocchi,
da non invidiar nessuno, con un barman in grande uniforme che incute
quasi soggezione per l’evidente professionalità che sprizza da tutti i
pori; peccato solo che non ci sia neppure l’ombra di un avventore. Eh,
ma cosa c’è di strano? In questo tempio della Lettura, la gente viene
per cercare libri, non per tracannare vino o azzannar panini. E allora,
su, su, verso i piani alti, verso il cuore del gioiello architettonico,
per la delizia degli occhi, anche se non dell’olfatto: poiché i libri
sono tutti rigorosamente cellofanati, inodori, insapori e sterilizzati,
senza l’ombra di un virus o di un batterio, senza neppure un granellino
di polvere. Ed ecco l’immensa sala, il sancta sanctorum del
Lettore Politicamente Corretto: chilometri di scaffali dietro scaffali,
tutti stracolmi di libri, tutti in bella mostra, una pila sopra l’altra,
in religiosa offerta per il loro fervente adoratore. La cosa
decisamente incoraggiante sono le fascette che li avvolgono: vi si
possono leggere slogan come questi: Il più venduto negli Stati Uniti; oppure:Due milioni di copie vendute; oppure, ancora: Una scrittrice da 500.000 copie.
Si va a peso, si va a quantità: tante vendite, tanto merito.
Rassicurati, perciò, lettore dubbioso e di poca fede: se compri questa
merce, non potrai sbagliare: sarai il due milionesimo e uno stronzo che
avrà dedicato il proprio tempo a riempirsi il cervello di codesta
immondizia.
Stiamo
parlando, naturalmente, di romanzi. Già dai loro titoli brilla, in
tutto il suo fulgore, la loro perfetta, furbesca, perfino scanzonata
idiozia: sono talmente idioti che ci si vergogna anche solo a
pronunciarli a voce alta, non si sa come faccia un cliente a domandare
alla commessa: Scusi, avete il romanzo tal dei tali?, senza
avvampare e morire sull’istante di vergogna. A chi possieda anche solo
un briciolo di pudore e di rispetto di sé, buttar fuori quel nome dalla
bocca costerebbe atroci sofferenze; tuttavia, è noto, cosa non si
farebbe per amore della Cultura e del Sapere? Ecco, senza dubbio
qualcuno, a questo punto, dirà: la solita ipercritica esagerata,
preconcetta. Al contrario: ci sembra di esser stati molto al di sotto di
una vera critica. Dell’immondizia non si fa la critica: si girano i
tacchi e si portano lontani gli occhi e il naso. Quel che colpisce,
semmai, è la poca distanza che separa la letteratura “alta”, o
considerata tale, quella di Eco e Fo, tanto per capirci, da quella
apertamente commerciale, e che non nega di esserlo: quella di Moccia o
di Volo. Ammesso che una distanza ci sia. Il vecchio problema della
cultura italiana, la distanza siderale, anacronistica, fra cultura alta e
bassa, è stato risolto una volta per tutte alla radice,
democraticamente, quasi d’imperio: è diventata tutta bassa; ma talmente
bassa, che più bassa non si può.
Dunque, abbiamo mestamente bighellonato fra gli scaffali ripieni di mercanzia libraria, scorrendo nel sole che abbaglia, con triste meraviglia,
da un titolo all’altro, da una fascetta all’altra. Infine, sconsolati,
ci siamo spinti nel reparto saggistica: e anche lì, con infallibile
precisione, ci siamo imbattuti nei soliti nomi, nei soliti volti, nei
soliti titoli: tutto l’establishment del politicamente
corretto, del progressismo in formato terzo millennio; tutti i cascami
del femminismo, del liberismo, dell’edonismo, dell’immigrazionismo, del
buonismo, del multiculturalismo, dell’omosessualismo, e anche qualcuno
di nuovo conio, ma sempre con il copyright del Nuovo Ordine
Mondiale. Ancora Cacciari, ancora Galimberti; ancora Del Boca per sapere
tutto sull’Africa coloniale, ancora Paolo Crepet per i problemi
dell’adolescenza. E poi, ci son sempre i vecchi guru che
aleggiano, ispirano e benedicono, standosene affabilmente dietro i
nuovi: Marx, Freud (padre e figlia), Reich, Marcuse; e, per i
cattoprogressisti, don Milani e don Ciotti, padre Turoldo e i comboniani
di Nigrizia. E avanti di questo passo, con tetra uniformità,
con implacabile ripetizione, con inesorabile fatalità, come nella
hegeliana marcia dello Spirito della Storia. Uno scaffale dopo l’altro,
una pila dopo l’altra, tutti belli e cellofanati, tutti schierati a
battaglia come soldati di un esercito impeccabile, di un’armata
irresistibile, pronti per essere consumati, pardon, acquistati,
dall’onnivoro e diligente lettore politicamente corretto. Antirazzista,
antifascista, antimaschilista, antiomofobo, anti… non importa cosa,
importa che sia sempre, rigorosamente antiqualche cosa: perché se non c’è un orrendo Nemico da combattere e da abbattere, che razza di vita sarebbe?
C’è solo un piccolo particolare da aggiungere… che la libreria, la grande, maestosa libreria, il Tempio del Sapere politically correct,
nonostante le ferie natalizie, nonostante le strenne ed i regali,
nonostante la bella giornate di sole, senza nubi (un po’ freddina,
questo è vero, ma comunque limpida e invitante), era praticamente
deserta. Clienti, zero o quasi. Lettori, zero o quasi. Una desolazione,
una tristezza, un autentico gelo nel cuore. Vuoi vedere che perfino il
pubblico di bocca buona del terzo millennio, a forza di vedersi proporre
sempre e solo la solita immondizia, ha deciso di far lo sciopero della
fame? Vuoi vedere che i Signori del Politicamente Corretto, a cominciare
dai proprietari e dai direttori delle case editrici, hanno tirato la
corda un tantino troppo, finché l’hanno spezzata? Vuoi vedere che
perfino gli schiavi più docili si sono stancati di essere trattati con
così palese disprezzo, con così sfacciata cialtroneria, con una boria
così insopportabile, che preferiscono fare qualcos’altro – una partita
al bar con gli amici, o una pizza con la moglie e i figli – piuttosto di
sottoporsi al noiosissimo, frustrante supplizio di tutte queste letture
bovine, ma politically correct?
Nessun commento:
Posta un commento
Tutti i commenti sono sottoposti a moderazione prima della loro eventuale pubblicazione.E' gradito il nome o il nikname