Fisici di ventidue Paesi hanno assistito agli straordinari esperimenti eseguiti in Francia con il «meteotron» del professor Dessens.
Dai cento bruciatori del «meteotron», piantati come pali sul circuito di un esagono regolare, cento fiamme scaturiscono contemporaneamente, al segnale del professor Dessens. Sono bastati trenta secondi perché all’interno di questo esagono, 3200 metri quadrati di lato si trasformassero in un braciere.
Il fuoco crepita furiosamente nei turbini di fumo nero. Poi, rapidissime, le fiamme alte quattro metri decrescono e ricadono rasente i cespugli rosseggianti. E’ la fine dell’incendio, e, per gli specialisti francesi e stranieri che assistono alla dimostrazione (sono circa sessanta fisici provenienti da dodici Paesi), è il momento della verità: là in alto, al di sopra delle fumate che chiudono ancora l’orizzonte dei Pirenei, nel cielo fino a quel momento perfettamente limpido, si sta formando una nuvola, un cumulo. Il tutto in meno di cinque minuti.
«Io non fabbrico pioggia…». Il professor Dessens non vuole che lo si confonda con quegli specialisti di pioggia provocata che sono così numerosi negli Stati Uniti. Egli infatti non si contenta di «seminare le nubi»; le crea. A prima vista, niente dovrebbe essere più facile che sciogliere una nuvola. In effetti, un cumulo-nembo di uragano può racchiudere sino a 200.000 tonnellate di acqua!
Ma queste enormi masse liquide sono depositate sotto forma di piccole gocce che hanno un diametro di 30 micron; e per formare una sola goccia di pioggia se ne devono saldare insieme 300.000. Come provocare artificialmente tali agglomerati? Questo era il problema per i fabbricanti di pioggia.
La soluzione è venuta da un fisico norvegese, Tor Bergeron, che ha dimostrato come se la cava, in questo caso, la natura stessa. Teoricamente, spiega lo scienziato norvegese, le goccioline sospese nelle nuvole non dovrebbero mai incontrarsi: la legge fondamentale dell’elettrostatica glielo vieta, dato che esse sono cariche di una elettricità dello stesso segno. E tuttavia la pioggia esiste.
Che cosa accade dunque? Semplicemente, che talune di queste goccioline sono a sopraffusione (a –5°, per esempio, esse restano liquide) ed altre si trasformano in minuscoli cristalli di ghiaccio. Ora, l’esperienza c’insegna che un pezzo si ghiaccio messo in presenza di un’acqua soprafusa non tarda ad assorbirla. E’ così che si formano i fiocchi di neve. All’origine, infatti, ogni pioggia è neve la quale poi si scioglie per effetto del riscaldamento nell’atmosfera.
Da questo momento, la via dei fabbricanti di pioggia era tracciata: per provocare la caduta di pioggia bastava loro favorire la formazione di cristalli di ghiaccio nelle nuvole introducendovi degli appositi germi. Un metodo vecchio di quindici anni e che ha dato prova di sé. Tuttavia…
« Nel 1954 – ci fa notare il professore Dessens – si voleva far piovere sulla Beauce, e invece piovve sulla Germania…»
Ma c’è un’obiezione più grave. I fabbricanti di pioggia non incontrerebbero certamente alcuna difficoltà a «seminare» il cielo italiano o quello francese. Ma come «seminare», ad esempio, il cielo del Sahara, dove manca la materia prima e cioè la nuvola? Bisognava dunque studiare il problema più a fondo, come ha fatto il professor Dessens, non al livello della formazione delle piogge, ma a quello della formazione delle nuvole.
Tutto è cominciato nel 1955. In quell’anno, il professor Dessens, invitato dai piantatori di cacao di Lukolela, compiva un viaggio di studio in Congo. Quivi egli osservò per la prima volta una pratica corrente, a quanto strana, in Africa, quella cioè di accendere dei fuochi di boscaglia per «far piovere».
Il professore sapeva che non si trattava di un semplice rito di magia. Egli stesso, qualche anno prima, aveva proposto alle autorità belghe di utilizzare razionalmente i fuochi di boscaglia per modificare la piovosità del Congo. Ma come si creano le false nuvole, vuoi con il fuoco di boscaglia, vuoi con il «meteotron»?
Bisogna prima di tutto capire come si formano le nuvole vere. Tutti sanno che l’evaporazione dei mari, dei laghi e dei fiumi, carica l’aria nelle vicinanze del suolo, di immense quantità di vapore acqueo. Ma perché si formi la nuvola occorre anche che il vapore si condensi in goccioline.
Ora, questa condensazione è possibile solo se l’aria si raffredda. E per raffreddarsi – ecco il primo paradosso – è necessario che essa prima si riscaldi. Sotto l’azione del Sole, in effetti, la sua pressione aumenta: è la condizione necessaria perché l’aria si innalzi in corrente ascendente trascinando i vapore acqueo verso regioni sempre più fredde.
La quantità massima di vapore acqueo che un litro d’aria può racchiudere varia rapidamente in funzione della temperatura: è di 20g a 25°, appena di 11g a 10°. Viene dunque un momento in cui l’acqua contenuta nell’aria non può più restare allo stato di vapore e deve condensarsi.
Ed ecco un secondo paradosso: alcuni fisici hanno dimostrato che le molecole di vapore acqueo, aprendosi un passaggio attraverso le molecole di ossigeno e di azoto, che si urtano a vicenda senza mai unirsi, dovrebbero, in linea di principio, comportarsi alla stessa maniera: non condensarsi mai.
Se di fatto esse si condensano, malgrado questa teorica impossibilità, è perché incontrano costantemente sui loro percorsi delle «trappole a molecole d’acqua»: grani di polvere, elementi impalpabili di fumo e, soprattutto, minuscoli cristalli di sale marino strappati alle onde.
Due sono dunque le condizioni perché si possa formare una nuvola: una corrente ascendente d’aria calda che trascini il vapore acqueo verso le altezze in cui esse si condensano in goccioline; un’atmosfera carica di «trappole a molecole», vale a dire, in termini scientifici, di «germi di condensazione». Di queste due condizioni, la prima è la più importante.
Ma bisogna precisare bene: una corrente d’aria calda. Il calore in se stesso non conta, altrimenti il Sahara sarebbe coperto di nuvole! Ciò che importa è il riscaldamento differenziale, detto anche riscaldamento di una zona limitata al di sopra della quale si produce un vero e proprio «tiraggio» come in un camino.
I cento bruciatori del «meteotron» che sviluppano una potenza termica di 700.000 kilowatts, non hanno difficoltà a creare un camino stabile per trasportare le correnti ascendenti. Senza contare che le faville e le polveri sprigionate dal fumo costituiscono delle eccellenti «trappole a molecole».
Dal punto di vista del diritto internazionale, il «meteotron» appartiene al Presidente della Repubblica del Congo, Kasavubu che, in base agli accordi intervenuti con la passata amministrazione belga, potrebbe reclamarlo in qualsiasi momento. Il «meteotron» era stato in effetti concepito per il Congo. Nel 1960, un voluminoso materiale – motori diesel, pompe, bruciatori – stava per essere imbarcato, quando fu proclamata l’indipendenza del Congo. Durante diversi mesi, l’apparecchio restò bloccato sui moli di Marsiglia, poi, essendo chiaro che i congolesi vi avevano rinunciato, il ministero dell’Educazione nazionale francese ne decise l’installazione a Lannemezan.
Da allora sono passati tre anni, tre anni di esperimenti durante i quali il «meteotron» ha rivelato sempre nuove possibilità. In un minuto, il «meteotron» può aspirare ricadute nucleari diffuse nell’aria e disperderle nell’atmosfera a più di mille metri di altezza.
Molti specialisti, senza disconoscere i rischi della «ricaduta», ritengono che il «meteotron» potrebbe essere un mezzo, in caso di accidente grave, per scongiurare i pericoli più immediati di un inquinamento atomico dell’atmosfera e ridurne gli effetti catastrofici.
Altra utilizzazione inaspettata del «meteotron» è quella di «guida-fulmini». Operando con tempo sereno, il professor Dessens e i suoi collaboratori hanno osservato più di una volta che ottenevano non soltanto dei cumuli piovosi ma anche delle vere e proprie trombe di grandine, dal diametro di una dozzina di metri, che univano la nuvola al suolo come un immenso pilastro attorcigliato.
In tempo di uragano, nell’asse fortemente ionizzato della tromba si producono violente scariche di elettricità. Forse un giorno sarà possibile osservarvi quella varietà di fulmine chiamato «globulare», un litro del quale, secondo calcoli del fisico sovietico Kapitza, contiene più energia nucleare che una esplosione atomica.
Il Pentagono mostra perciò molto interesse per il «meteotron». Ma per il momento, e per altri lunghi anni ancora, senza dubbio, il professor Dessens darà la precedenza alle utilizzazioni pacifiche del suo strumento, concepito per realizzare un vecchio sogno dell’uomo: modificare e correggere il clima.
Link Meteotron
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Multiple “Meteotron” Jet Engines Used in the USSR in the 1970s
for Successful Cloud formation Experiments
The Current Status of WEATHER MODIFICATION
Summary 1964
http://www.twdb.state.tx.us/publications/reports/bulletins/doc/B6504.pdfrts/bulletins/doc/B6504.pdf
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