Una storia che sembra un romanzo
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Se una scoperta è in grado di cambiare il mondo, non è detto che il mondo si lasci cambiare
Questa è una storia incredibile, inverosimile. Paradossalmente, appare tanto inverosimile quanto più sostenuta da testimonianze, anche autorevoli, testimoni oculari, documenti filmati periziati, perizie calligrafiche e che coinvolge personaggi politici, servizi segreti, istituzioni...
E’ la storia di Rolando Pelizza, bresciano di Chiari, imprenditore ottantenne. L’ho conosciuto, qualche mese fa, a Pavia (ndr ottobre 2018): un uomo che dimostra la sua età, stanco, affaticato, deluso ma che forse non si è del tutto arreso. I suoi occhi sono ancora pieni di luce, mentre, con fierezza e con parole semplici, tenta di spiegare che il suo sogno poteva essere realizzato e che, forse, potrebbe esserlo ancora, se soltanto...
Il suo sogno è legato ad una macchina, una strana macchina, apparentemente semplice, fin troppo semplice, a suo dire in grado di risolvere tanti problemi che affliggono l’umanità intera, in grado di produrre energia, tanta energia a costo zero e non solo. Una macchina, però, che per la scienza ufficiale contraddice le regole della fisica così come la conosciamo e che quindi non può fare quello che Pelizza promette. Eppure...
Siamo nel 1958, Rolando Pelizza, poco più che ventenne, è un commerciante che opera nel settore calzaturiero; è un giovane intraprendente, curioso come tanti, appassionato di matematica, il suo lavoro lo porta a viaggiare per tutta l’Italia. Quasi per caso, il giovane Pelizza entra in contatto con i frati di un convento ubicato nel Meridione, dove conosce uno strano frate; più che un frate sembra un ospite, un ospite che gli altri certosini chiamano il professore e con il quale instaura uno stretto rapporto di amicizia.
Il professore era uno studioso di fisica e matematica e, vista la passione di Rolando, fu inevitabile, durante gli incontri che si susseguirono negli anni a venire, discutere di leggi della fisica, di formule matematiche e di affascinanti teorie scientifiche. Appena poteva, Pelizza affrontava il lungo viaggio che dalla Lombardia lo portava giù, al sud, perché ascoltare le teorie del professore era davvero affascinante.
“Il Maestro”, così Pelizza si era abituato a chiamare il professore, aveva elaborato a livello teorico la possibilità di costruire una macchina in grado di liberare, in maniera controllata per quantità e qualità, antiparticelle, e con queste annichilire la materia. Se questo fosse stato davvero possibile si sarebbe potuto non solo produrre quantità illimitate di energia pulita, praticamente a costo zero, senza emissione di radiazioni nocive, ma anche il dissolvimento di rifiuti di qualsiasi natura.
I vantaggi sarebbero stati straordinari per l’umanità, risolvendo così tutti i problemi di inquinamento. Giustappunto un sogno.
Dopo sei anni, da quel primo incontro con il Maestro, Rolando Pelizza si convince di avere acquisito le conoscenze necessarie per poter costruire la macchina. Tuttavia, il professore si sente in dovere di avvertire il nostro amico di tutti i possibili pericoli che la costruzione della macchina comporta: una scoperta del genere interesserebbe qualsiasi Stato, con il rischio di sfruttamento a fini tutt’altro che pacifici. Del resto, insegna la storia, non avvenne proprio così per le scoperte scientifiche dei ragazzi di via Panisperna, che portarono alla costruzione della bomba atomica prima che all’utilizzo della scissione dell’atomo per produrre energia? Inoltre la costruzione e la sperimentazione della macchina avrebbero richiesto notevoli quantità di tempo e di denaro, dal momento che per l’assemblaggio sarebbe stato necessario anche l’impiego di metalli nobili. Pelizza è deciso ad affrontare tutto, compresi i rischi: riceve le ultime istruzioni dettagliate e inizia a tentare di mettere in pratica le teorie del professore.
Trascorrono circa otto anni durante i quali, nonostante i numerosi insuccessi, che tuttavia fanno ben sperare, Rolando Pelizza non perde l’entusiasmo e la determinazione. Sorge però un problema: le risorse personali si sono esaurite, per poter continuare serve un aiuto economico.
La necessità di trovare finanziatori lo costringe a venir meno alle raccomandazioni del professore in fatto di segretezza. Le potenzialità della macchina, rivelate per poter attirare possibili finanziatori, attirano l’interesse di personaggi ambigui. Iniziano i guai.
Pelizza fa la conoscenza del dottor Massimo Pugliese, con il quale entra in rapporto di affari e stringe amicizia. Pelizza non sa che il Pugliese è un colonnello del Sid, il servizio informazioni difesa. Da questo momento Pelizza sarà un controllato speciale da parte dei servizi segreti: Pugliese, ex agente del Sifar, poi nel Sid, affiliato alla Loggia P2, riferirà, in seguito, ogni cosa riguardante Pelizza al generale Giuseppe Santovito capo del Sismi, anch’egli membro della P2.
Gli esperimenti vanno avanti, i progressi sono incoraggianti, ma con i progressi aumentano i guai per il nostro amico. Una prima avvisaglia risale al settembre del 1973, quando i carabinieri si presentano a Chiari per una perquisizione domiciliare, alla ricerca di non meglio specificati oggetti illeciti.
La cosa si ripete nel luglio del 1975: questa volta la perquisizione riguarda il laboratorio, l’abitazione, la casa di un suo collaboratore, il tutto senza che le forze dell’ordine forniscano una giustificazione, tanto che Pelizza, consultandosi con il suo avvocato, Mino Martinazzoli, allora senatore della Democrazia Cristiana, (ne diventerà segretario nazionale nel 1982) invia formale protesta alla magistratura di Brescia.
A quel punto, Pelizza si convinse che oramai non poteva più contare sulla segretezza dei suoi esperimenti e dunque si decise a coinvolgere Pugliese, il quale si offrì per la ricerca di finanziatori. Per far questo, però, occorrevano prove rispetto al funzionamento della macchina.
Rolando preparò una dimostrazione che avvenne in località Baremone, nei monti bresciani. All’esperimento assistettero l'imprenditore Antonio Taini, Mario Calvi, Bruno Boni (sindaco di Brescia), Piero Panetta e Massimo Pugliese, che aveva invitato un certo Guido Giuliani (un colonnello dei Carabinieri di Brescia in attività presso i servizi segreti).
Durante l’esperimento la macchina riuscì a perforare in una frazione di secondo una lastra di acciaio dello spessore di 4 cm, a far “evaporare” un masso di pietra, oltre a un muricciolo e dei mattoni posti a varie distanze: il tutto fu videoregistrato. Dovevano essere queste le prove da fornire ai potenziali finanziatori.
Pugliese voleva coinvolgere il governo degli Stati Uniti, ma Rolando obiettò che questa tecnologia doveva essere sviluppata in Italia ed eventualmente messa a disposizione del governo italiano, e poi, in seguito, commercializzata all’estero. Ciò nonostante, Pugliese si adoperò per prendere contatti con l’ambasciatore USA in Italia.
Al consulente scientifico dell’ambasciata americana John Louis Manniello furono forniti dei filmati riguardanti alcuni esperimenti condotti su vari materiali. Il 17 settembre 1976 l’ambasciata statunitense informò, con un rapporto classificato della massima segretezza siglato “Secret Rome 15277”, che un gruppo di scienziati italiani avevano inventato “un metodo pratico per generare energia di una quantità maggiore di quella nucleare”.
Della faccenda fu incaricato l’ingegner Matteo Tutino, molto vicino al presidente Ford, il quale informò Pugliese che il presidente americano seguiva personalmente la questione, e che il governo americano era interessato alla macchina. L'“Embassy cable” ed altri documenti si trovano nell’archivio di Wikileaks.
L’ingegner Matthew E. Tutino, l’esperto incaricato dal Governo statunitense, arrivò in Italia e chiese a Massimo Pugliese e a Rolando Pelizza una ulteriore prova riguardo alla potenzialità della macchina, ossia abbattere un satellite posizionato in orbita a circa 1500 chilometri di distanza.
archivio Wikileaks |
La richiesta allarmò Rolando, che decise a questo punto di informare il governo italiano. Massimo Pugliese incontrò l’onorevole Flaminio Piccoli e l’onorevole Loris Fortuna, presidente della commissione industria. Fu coinvolto il professor Ezio Clementel del Comitato Nazionale Energia Nucleare (Cnen), che chiese nuovi esperimenti per poter valutare le potenzialità della macchina, fornendo dettagliate disposizioni operative. Il tutto fu videoregistrato (tutti i filmati sono stati periziati dallo Studio di Ingegneria Informatica Forense del dottor Michele Vitiello e ritenuti originali e non manomessi). La relazione conclusiva del professore Clementel, seppur prudente, fu: ” ...le energie e soprattutto le potenze in gioco si porrebbero al di là dei limiti dell’attuale tecnologia”.
lettera inviata all'onorevole Loris Fortuna da Ezio Clementel (CNEN) |
Ma Clementel escludeva che potesse trattarsi di anti-particelle o, come scrive nella relazione, “di anti-atomi”. A tutto questo non segui niente di concreto, mentre i problemi economici di Pelizza si facevano sempre più pressanti. Furono percorse strade diverse per ottenere un finanziamento: dall’imprenditore sardo Giuseppe Piras, all’editore belga Maurice Brebart, direttore della Derniere Heure di Bruxelles. Brebart però pretese il coinvolgimento del governo belga. Rolando accettò, a condizione che la macchina fosse in seguito utilizzata solo e soltanto per scopi pacifici.
Il governo belga pretese, ovviamente, un nuovo esperimento e dette incarico al maggiore Jacques Leclerc, tecnico esperto di raggi laser, di partecipare di persona. La prova doveva consistere nel colpire e annichilire un bersaglio in campo aperto posto a due chilometri di distanza (anche questo esperimento avvenne in località Baremone). L’esperimento riuscì, e questo fu il commento di Leclerc: “a Parigi sorridevo al racconto degli esperimenti...
Adesso devo telefonare al Capo di Stato Maggiore dell’esercito belga, il generale Romanoff, per dirgli di buttare via i suoi carri armati, perché con questa apparecchiatura non servono più a niente”. Nel frattempo, anche a seguito di problemi con il governo belga, furono ripresi contatti con il governo italiano (siamo nel 1977): l’onorevole Giulio Andreotti diede incarico a Antonio Mancini (capo di gabinetto del ministero della ricerca scientifica) di seguire il caso di questa strana macchina, seppur in maniera ufficiosa, e favorire a livello logistico un ulteriore esperimento richiesto dal governo belga, esperimento che avrebbe dovuto sancire definitivamente l’accordo tra la società di Rolando, il governo belga e quello italiano.
Durante l’esperimento si doveva portare ad ebollizione un bacino d’acqua, ma all’ultimo momento venne chiesto di annichilire un carro armato. Capite le intenzioni, Pelizza si rifiutò e fece in modo che la macchina si autodistruggesse, rinunciando all’accordo e ai soldi: la macchina doveva essere utilizzata per scopi pacifici, era questa la volontà del Maestro di Rolando.
Tutto sommato fu una liberazione: Pelizza si sentì sollevato nell’interrompere definitivamente le trattative con i belgi. Tuttavia, i problemi economici del nostro amico, per poter continuare gli esperimenti, erano ancora irrisolti e ufficialmente dal governo italiano non giungevano notizie. Nel 1978, grazie all’interessamento di Mancini, Pelizza incontrò il professor Antonino Zichichi, ma il risultato fu inconcludente: il professore non ne volle sapere, sostenendo che la questione era assolutamente fuori da ogni schema.
Nel 1981, finalmente, il governo italiano si dichiarò nuovamente interessato, ma alla fine tutti gli esperimenti richiesti facevano capire che il vero interesse andava nella direzione di un utilizzo in campo militare. Rolando rifiutò ancora una volta. Fu a questo punto che cominciò per il nostro amico un periodo di traversie e di pressioni per convincerlo a cedere la tecnologia contravvenendo ai suoi principi. Abbiamo già scritto delle perquisizioni subite, ma accadde che, nel gennaio del 1976, Pelizza fosse arrestato e condotto in carcere a Torino, con l’accusa di concorso in sequestro di persona.
Il sequestro era quello di Carla Ovazza, moglie di Jean Paul Elkann, e la stampa si accanì contro l’imprenditore bresciano. Fu scarcerato dopo 87 giorni di detenzione e in seguito fu assolto, quando fu chiaro che non c’entrava niente con il sequestro. Nel 1977 subisce un sequestro (ma secondo le forze dell’ordine fu una simulazione), durante il quale gli viene intimato di non continuare con gli esperimenti.
Nel 1982 esce sul settimanale O.P., (fondato dal giornalista, anch’egli affiliato alla P2, Mino Pecorelli, assassinato nel 1979), un articolo in cui si rivela il fatto che Pelizza fu sequestrato nel 1977 non tanto per estorcergli del denaro ma per aver ideato uno strumento in grado di emanare un fascio mortale, “un raggio della morte”. In seguito, la stampa italiana continuò ad accanirsi contro Pelizza definendolo un truffatore a livello mondiale.
E ancora, nell’anno successivo, fu emesso contro Pelizza un ordine di cattura per illeciti nella vendita di materiali ferrosi: il caso fu trattato dalla stampa come lo scaldalo della truffa dell’I.V.A. Qualcuno avvertì Rolando del possibile imminente arresto ed egli decise di rifugiarsi in Spagna. Nel 1983, il tribunale di Brescia emise un ordine di cattura per esportazione di valuta e per contrabbando e importazione di opere d’arte.
In realtà l’autorizzazione e la garanzia all’importazione di quadri dalla Spagna era stata concessa dal ministero dei Beni Culturali, grazie all’interessamento di Mancini (l’ordine fu revocato tre anni dopo dal giudice Dario Culot). Non è finita: ancora nel maggio del 1983, il tribunale di Trento emise un mandato di cattura internazionale contro Pelizza “per aver costruito senza licenza un ordigno micidiale detto Raggio della morte”. Di fatto una beffa: Rolando si era sempre opposto ad un eventuale utilizzo a scopi bellici, inoltre della vicenda erano a conoscenza vari personaggi, compresi ministri del governo italiano, seppur in maniera ufficiosa.
La campagna denigratoria sulla stampa non cessa: il settimanale “l’Europeo” e il quotidiano “Il Giorno” trattano Rolando Pelizza come un astuto truffatore e negli articoli vengono ridicolizzati gli esperimenti compiuti e mostrati nel corso dei dibattimenti processuali.
Ma nel febbraio 1988, finalmente, arriva la sentenza del tribunale di Venezia che: “assolve Pelizza Rolando da tutti i reati ascrittigli perché i fatti non sussistono e revoca il mandato di cattura internazionale...”.
E’ una liberazione per il nostro, che, pur non ripagandolo di tutte le amarezze, lo sprona a proseguire in quella che oramai ritiene una missione. Rolando Pelizza, non senza difficoltà, dunque continua con le sue sperimentazioni, cercando di migliorare il funzionamento della macchina, aiutato dal professor Carlo Tralamazza esperto informatico, arrivando ad ottenere una percentuale di riuscita vicina al settanta per cento e sostenendo di essere riuscito, grazie ad una particolare procedura, “un codice”, addirittura a trasmutare la materia.
Il mondo scientifico e le istituzioni rimangono sorde, anzi per certi versi Pelizza è un personaggio oltremodo “scomodo”. Ora, raggiunti gli ottant’anni di età, Rolando Pelizza ha deciso di abbandonare tutto. Eppure qualche mese fa l’ho sentire dire che se lo Stato, magari attraverso il CNR, decidesse di costruire la macchina, in un ambiente sicuro e protetto, lui, la farebbe funzionare.
Chi è, dunque, Rolando Pelizza? Colui che dice di aver costruito una macchina in grado di produrre energia pulita in quantità inesauribile e a costo zero? Un uomo geniale, un millantatore, un furbacchione che ha tentato di truffare imprenditori e addirittura governi? Come truffatore varrebbe molto poco, dal momento che ha dilapidato il patrimonio familiare e che, durante la latitanza, ha visto fallire le proprie imprese.
Pelizza non ha una vera e propria cultura scientifica, non è uno studioso accreditato, non può esibire un curriculum di studi accademici, le sue teorie appaiono fantascientifiche e vengono ignorate dalla scienza ufficiale. E’ vero però che ci sono casi eclatanti, nel passato, di teorie sconfessate dalla scienza ufficiale, che poi sono diventate straordinarie scoperte.
Quando Guglielmo Marconi avanzò l’ipotesi di poter comunicare tra Europa e America con il telegrafo senza fili utilizzando la scoperta delle onde elettromagnetiche, Henri Poincaré, il massimo fisico teorico dell’epoca, disse che ciò che affermava Marconi, era assolutamente impossibile scientificamente e quindi irrealizzabile. La verità è che entrambi i personaggi erano ignoranti, nel senso che ignoravano l'esistenza della ionosfera, quella regione dell'atmosfera che è in grado di riflettere le onde radio e di favorirne la propagazione.
Di questi esempi ne è piena la storia: del resto è la scienza stessa, anche attraverso il metodo scientifico, a dichiarare che la natura può manifestare molto di più di ciò che la scienza ufficiale può dimostrare: “Perchè la natura è molto più sorprendente di qualsiasi film di fantascienza”. La fisica che conosciamo, quella fondata sulla sperimentazione, che dà certezze, che funziona benissimo quando sono coinvolti processi e fenomeni macroscopici, entra in “crisi” di fronte all’altra fisica, quella quantistica delle probabilità. Ed ecco che siamo sconcertati o, quanto meno, disorientati davanti ad esperimenti che non trovano, appunto, riscontro nelle leggi della fisica contemporanea, di ascendenza galileiana e newtoniana.
Sul finire dell’anno 2001 Rolando Pelizza decide di rivelare, avendone avuta autorizzazione, il nome del Maestro, ossia di colui che di fatto aveva inventato la macchina e che lo aveva istruito, seguendone tutte le fasi, nella costruzione (da notare che, tra quelle distrutte, quelle andate perdute e quelle trafugate, sono state costruite 228 macchine). Ed è a questo punto che la questione si fa ancora più incredibile e inevitabilmente affascinante: Pelizza rivela che il maestro, inventore della macchina, è Ettore Majorana, il grande fisico misteriosamente scomparso nel 1938.
Ma chi era Ettore Majorana? Per inquadrare il personaggio, forse sono sufficienti le parole di Enrico Fermi, premio Nobel per la fisica e professore di fisica teorica a Roma, che ebbe Majorana tra i suoi allievi, insieme a quei giovani ricercatori che sono passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”. Fermi disse di Majorana: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galilei e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi”.
Dunque, Ettore
Majorana era un genio. Dice di lui il professor Erasmo Recami ( ndr 1939
- 2021), considerato il suo più accreditato biografo: “Ettore Majorana
era una delle menti più brillanti della scienza italiana”. Majorana
era un precursore: di alcuni suoi studi sulla fisica se ne è compresa
l’importanza soltanto a distanza di decenni.
Mauro De Mauro - L’Ora di Palermo 12 ottobre 1965 |
un articolo di commemorazione per Ettore Majorana pubblicato su “L'Ora di Palermo” il 12 ottobre 1965, scritto dal giornalista Mauro De Mauro che fu rapito e ucciso dalla Mafia nel settembre 1970 |
Majorana, catanese, nato in una antica e prestigiosa famiglia benestante, fu un bambino prodigio, dimostrando una straordinaria capacità di calcolo. All’età di cinque anni, egli era in grado di svolgere a memoria operazioni e calcoli molto complicati.
Il Padre, laureato in ingegneria e in scienze matematiche, lo avviò precocemente allo studio della fisica. Il giovane si laureò con il massimo dei voti, con una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi, relatore Enrico Fermi, e fece parte di quel gruppo di fisici italiani noti come “I ragazzi di via Panisperna”, guidati appunto da Enrico Fermi, che condussero studi ed esperimenti sulla radioattività e sulla struttura dell’atomo, che poi avrebbero portato all’assegnazione del premio Nobel a Enrico Fermi e dettero il via a quel percorso scientifico che portò alla costruzione della prima bomba Atomica.
A livello teorico, i lavori di Majorana, furono fondamentali. In seguito elaborò una teoria, la teoria del neutrino “fantasma” (il neutrino di Majorana, appunto), ossia di quella particella che c’è ma non si vede, che appare e scompare, una particella dell’atomo che corrisponde perfettamente anche alla sua antiparticella, che può essere, dunque, particella, antiparticella ma anche, contemporaneamente, entrambe.
All’apice della fama, come fisico teorico, per opere riguardanti, in particolare, la meccanica quantistica relativistica, Majorana nel 1937, dopo aver rifiutato prestigiose cattedre come Cambridge, Yale e Carnegie Foundation, accetta la cattedra di professore di Fisica teorica all’Università di Napoli, assegnatali senza concorso ma “per chiara fama”, e si dedica all’insegnamento, ma, nell’anno successivo, precisamente il 25 marzo del 1938, lo scienziato scompare misteriosamente.
Una scomparsa avvolta nel mistero e sulla quale sono state avanzate numerose ipotesi, che vanno dal suicidio alla fuga in Sudamerica, al ritiro volontario in un luogo monastico, alla scelta di vivere ai margini della società scegliendo una esistenza da clochard, ad un rapimento da parte di potenze straniere, alla morte per malattia, a vittima di un omicidio.
Al tempo, l’ipotesi più accreditata fu quella del suicidio: ma allora, perchè Majorana avrebbe ritirato, pochi giorni prima di scomparire, tutti i soldi dal conto, gli stipendi arretrati e il passaporto? A che servono i soldi a un aspirante suicida? E per quanto riguarda il passaporto, risulterebbe che non sia stato mai utilizzato e quindi anche l’ipotesi della fuga all’estero sembrerebbe poco verosimile.
Va detto che, in quegli anni, siamo in pieno regime fascista, i passaporti erano spesso negati, e a Majorana, viceversa, era stato concesso in quanto personaggio illustre e appartenente ad una prestigiosa famiglia.
Ma perchè Majorana avrebbe voluto scomparire, giunto all’apice di una fama riconosciuta da tutto il mondo scientifico? Secondo lo scrittore Leonardo Sciascia, autore del libro “La scomparsa di Majorana”, il professore si sarebbe volontariamente rifugiato in un monastero per tornare ad una vita normale, lontano dai riflettori, forse turbato dagli esiti di una fisica moderna, avendone individuate, per primo, le potenzialità distruttive: “La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata”: è questa una frase che avrebbe detto lo scienziato, in un momento di sconforto.
Su questa ipotesi, quella della scomparsa volontaria, si erano da subito indirizzate le ricerche, sollecitate dalla famiglia e da Benito Mussolini che in un cablogramma indirizzato ai vertici della polizia segreta fascista (OVRA) scriveva: “Trovatelo, M.”.
Ettore Majorana dunque scompare il 25 marzo del 1938, all’età di 31 anni, siamo alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Quel giorno aveva preso un traghetto, anzi un piroscafo, così si chiamavano a quel tempo, che da Napoli doveva condurlo a Palermo. Nello stesso giorno, Majorana aveva inviato una lettera ad Antonio Carrelli, suo collega e amico, che poteva far pensare all’intenzione di compiere un gesto estremo, ma che fu subito seguita da un’altra lettera e da un telegramma nel quale scriveva:
“Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.”
Di Ettore Majorana si persero le tracce tra la notte del 26 e 27 marzo 1938: scomparso, svanito. Gli agenti della polizia condussero indagini approfondite, cercando ovunque; furono sentiti testimoni, furono ricostruiti gli ultimi movimenti. Il capo della polizia, Arturo Bocchini, scrisse a Benito Mussolini: “I morti si trovano, solo i vivi possono scomparire”.
Affinché le ricerche si intensificassero intervenne anche il filosofo Giovanni Gentile, e lo stesso Enrico Fermi scrisse direttamente a Mussolini, anche se in cuor suo sapeva che: “Se Ettore, con la sua intelligenza, avesse deciso di scomparire ci sarebbe riuscito”. Quel che è certo è che le ricerche degli investigatori non poterono proseguire all'interno delle strutture religiose. Si sapeva che Majorana spesso cercava conforto in un convento di frati, sia quando si trovava in Sicilia sia a Roma, ma la firma dei Patti Lateranensi di fatto rendeva invalicabili, per le autorità italiane, le proprietà del Vaticano.
Secondo lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, Ettore Majorana si sarebbe potuto rifugiare in un convento e ne fa anche il nome: la Certosa di Serra San Bruno in Calabria.
Majorana, secondo Sciascia, si sarebbe rifugiato in un convento di clausura per fuggire da una vita troppo esposta ai riflettori e forse anche perché angosciato da quello che la sua straordinaria mente presagiva riguardo al futuro della fisica moderna e le conseguenze che avrebbe avuto in un eventuale conflitto bellico, conflitto che oramai sembrava imminente.
La stessa famiglia di Majorana si rivolse a Pio XII, papa Pacelli, per avere notizie, senza però ottenere alcuna risposta. I monaci certosini del convento calabrese, indicato da Leonardo Sciascia, hanno sempre negato di aver ospitato Majorana, ma quando, il 5 ottobre 1984, papa Giovanni Paolo II si recò in visita alla Certosa di Serra San Bruno, in un discorso, nel quale menzionava la presenza nel convento di illustri personaggi, citò inequivocabilmente anche il nome del “famoso fisico Ettore Majorana”.
Tornando a Rolando Pelizza, una volta rivelata l'identità del suo maestro, ossia di colui che aveva progettato la macchina, non solo ribadisce di essere in grado di annichilire la materia e trasformarla in energia pura, di poter provocare il rallentamento dello spin degli atomi al fine di produrre calore, calore costante ed inesauribile anche se assorbito da un sistema idrico per produrre vapore, ma, addirittura, di essere in grado di trasmutare la materia stessa, grazie ad un “codice”, il codice di Majorana, che costituirebbe la guida verso una nuova fisica, una fisica a noi, oggi, sconosciuta. La macchina funzionerebbe attraverso l'interazione di campi elettrici, magnetici e gravitazionali.
Pelizza, a sostegno di quanto asserisce, produce una serie di documenti. Si tratta di alcune lettere che sarebbero state scritte dallo stesso Ettore Majorana, ed a lui indirizzate. In tali lettere lo scienziato è prodigo di consigli, suggerimenti e, fino ad un certo punto, sprona Rolando a proseguire nella sperimentazione della macchina, non senza metterlo in guardia dai pericoli che eventuali “fughe di notizie”, possono provocare.
Le lettere sono state periziate dalla grafologa Chantal Sala, una professionista di Pavia abilitata in campo giudiziario, che, riguardo alla perizia eseguita sulla lettera indirizzata a Rolando e datata 26 febbraio 1964, dichiara: “... Detta lettera è sicuramente stata vergata dalla mano del sig. Majorana Ettore”. Le lettere che Majorana avrebbe scritto a Pelizza sono numerose e una di queste porta la data del 7 dicembre 2001: in tal caso Majorana l'avrebbe scritta all'età di 95 anni, questo il testo:
“Caro Rolando,
E' passato un anno dalla mia ultima, del 20-12-2000, che tu hai insistentemente ignorato. Credo che questa sarà una delle ultime lettere che riceverai da me; per questo desidero che sia un po' anche il mio testamento spirituale. Da subito voglio riconoscere i tuoi meriti nello sviluppo delle mie teorie, essendo tu riuscito a capire ed a realizzare la “macchina”, che ora è finalmente funzionante dopo ben 228 tentativi falliti.
Correva l'anno 1972, e poi hai continuato per tanti anni ed hai superato molteplici inconvenienti, la cui natura ci è ben nota. Comunque, per tutto quello che hai affrontato, grazie Rolando, mio unico vero discepolo e collaboratore! Qui voglio in particolare riconoscere i tuo comportamento da gentiluomo nel mantenere la parola data, sempre coerente e rispettoso della mia volontà di tacere il mio nome. Da allora sono passati più di quarant'anni e desidero che tu sia il mio portavoce.
Da ora se lo riterrai opportuno, sei libero di usare il mio nome, di divulgare i nostri rapporti. Gli scritti e fotografie; se lo farai ti prego di rivelare i veri motivi che mi hanno spinto nel 1938 ad allontanarmi da tutti, per dedicarmi allo studio, nella speranza di arrivare in tempo e poter dimostrare al mondo scientifico che esistevano alternative importanti e senza pericoli. Purtroppo tu ben sai che non sono arrivato in tempo, pur avendo alternative migliori, che a tuttora non sono servite a nulla. Riservati l'ultimo segreto, dove e come mi hai conosciuto, il luogo e i fratelli che da sempre mi hanno segretamente ospitato.
Ti ringrazio nuovamente per aver sacrificato la tua vita per assecondarmi. Ti prego non andare oltre. Tuo Ettore”
Le conclusioni della perizia Calligrafica |
Pelizza, all'età di ottant'anni, infatti, ha detto basta. Anche se, come ho già scritto, l'ho sentito dire che se il CNR, o altra struttura protetta, decidesse di realizzare la macchina, lui la farebbe funzionare. Giunti a questo punto, sono inevitabili alcune riflessioni. Devo confessare però, che è già da molti anni - in tempi non sospetti - che sono innamorato del personaggio Ettore Majorana, da sempre ho immaginato che Majorana fosse sparito volontariamente. Al di là del fatto che si possa credere o no a questa incredibile storia, che si dipana da circa cinquanta anni, di una cosa c'è certezza: la macchina è esistita, ne è prova la relazione di Ezio Clementel, responsabile dell'allora Comitato Nazionale per l'Energia.
Certo è, che se davvero la macchina fosse in grado di fare tutto quello che Pelizza sostiene, chi mai potrebbe gestire una cosa del genere?
Provate solo ad immaginare, intanto, contro quali e tali interessi economici andrebbe a collidere. Pensate alle compagnie petrolifere, ma non solo, a tutto il settore della produzione di energia, alle società minerarie, al business dello smaltimento dei rifiuti, al settore farmaceutico per citare solo alcune delle grandi e potenti lobbies economiche e finanziarie che sono in grado di condizionare le scelte dei governi di tutto il mondo. E poi considerate le ripercussioni sull'attuale quadro economico e politico internazionale. Viene da pensare che forse non siamo ancora pronti, che forse non siamo nel “tempo” giusto. A meno che, quello che venga a mancare sia proprio il tempo!
E' notizia di alcune settimane fa che oltre cinquecento ricercatori di tutto il mondo si sono riuniti a Roma, su invito dell'Istituto Superiore di Sanità, per discutere dei cambiamenti climatici. Le conclusioni basate su evidenze scientifiche sono allarmanti: “fra due generazioni, se non faremo qualcosa, i danni saranno irreversibili. E' questo il tempo che ci rimane per mettere in atto misure concrete. Fra 20 anni potrebbe già essere troppo tardi. Già oggi le morti in Europa legate ai cambiamenti climatici sono migliaia l'anno, ma saranno milioni nel prossimo futuro se non si agisce subito".
In una lettera datata 20 dicembre 2000, indirizzata al professor Erasmo Recami, Majorana tra le altre cose scrive “... la macchina in oggetto, oggi è in grado di rigenerare l'ozono distrutto, semplicemente tramutando l'anidride carbonica in ozono nella quantità mancante, e l'eccesso in qualsiasi altro elemento da noi voluto. Ma le sue possibilità sono infinite: ad esempio essa è in grado di produrre calore illimitato senza distruggere materia, quindi senza lasciare residui di nessun genere.”
Finora è stato sottovalutato, sempre secondo le conclusioni del convegno di Roma, l'impatto che i cambiamenti climatici hanno sulla salute, a partire dall'esposizione ad aria inquinata per arrivare agli agenti infettivi ed alle radiazioni solari.
Ecco, forse, se il tempo stesse per scadere, se fossimo proprio vicini al punto di non ritorno...
“...poteva la natura o più precisamente la mano di Dio darci qualcosa a noi tanto necessario meglio di così? Senza problemi di nessun tipo, come distruzione e inquinamento? ...voglio solo sperare di veder realizzato questo desiderio prima di morire... non pretendendo nulla in cambio se non voler vedere questo nelle mani di qualcuno giusto e cosciente..."
Rolando Pelizza
breve bibliografia:
• L.Sciascia, La scomparsa di Majorana
• E. Recami, Il caso Majorana: epistolario, documenti, testimonianze
• A. Ravelli, Il segreto di Majorana
• R. Rio- F. Alessandrini, La macchina il ponte tra scienza e l'oltre
• A. Ravelli, 2006: Majorana era vivo
Magnifico e istruttivo articolo.
RispondiEliminaGrazie Unknown, per il gradito apprezzamento.
RispondiEliminaConcordo con Unknown. La macchina, non so perché, mi ricorda l'arca dell'alleanza, della quale tutti parlano e nessuno sa dove sia finita...
RispondiEliminaMauro, non è così peregrina la tua ipotesi; sarà finita nei sotterranei del Vaticano?
EliminaIo, se dovessi cercarla, comincerei proprio da lì....
RispondiEliminaScaffale 876, a destra del Cronovisore :)
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