A DIFESA DEL MANDATO IMPERATIVO. E DUNQUE DEL POPULISMO.
Il vincolo di mandato per i parlamentari è una delle istanze del
Movimento 5 Stelle: e come tutte quelle che escono da quel movimento,
accolta con strida scandalizzate e indignazione artefatta mediatiche e
partitiche: “Non è democrazia”, eccetera. Ovviamente, invece, è una
pretesa per lo meno comprensibile in Italia, dove oltre un terzo dei
parlamentari ha cambiato casacca in meno di due anni. Ma in realtà è
molto di più: è un potente segnale di vitalità democratica.
Mi ci ha fatto pensare il saggio del filosofo politico Alain de Benoist, “Populismo”
(Arianna Editrice), un libro capitale che consiglio a tutti i grillini
pensanti (Grillo incluso), come ai salviniani (compreso Salvini).
Vi ho letto che per Carl Schmitt, “un popolo ha tanto meno bisogno di essere rappresentato quanto più è politicamente presente a se stesso”.
Se Schmitt vi sembra sospetto perché “di destra”, ecco Simone Weil
(quella vera, morta battezzata): nel 1943, in nome della Resistenza
antifascista, scrive il “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”, proprio per salvare la democrazia. Per lei “L’unico fine di ogni
partito è la propria crescita illimitata”, è “un’organizzazione
costruita per esercitare una pressione collettiva sul pensiero”: noi
vediamo la durata illimitata dei partiti, decisi a sopravvivere in
eterno alla fine della loro utilità politica.
Molti pensatori
rivoluzionari sono stati contrari alla delega: a cominciare da
Rousseau, per cui “un popolo non può che perdere la propria sovranità
sin dal momento in cui se ne priva a vantaggio di rappresentanti”,
passando per Proudhon, per arrivare al marxista Costanzo Preve, che
nota sarcastico: “Il metodo democratico consiste proprio nella rinuncia consensuale alla democrazia come contenuto”.
Il filosofo Jacques Rancière, un allievo di Althusser, sancisce: la
democrazia “rappresentativa” non è un espediente necessariamente
inventato per adattare la democrazia alla crescita delle popolazioni, ai
tempi moderni; no, “E’ a pieno titolo una forma di oligarchia.
L’evidenza che assimila la democrazia alla forma di governo
rappresentativo è recente. La “democrazia rappresentativa” oggi può
sembrare un pleonasmo, ma inizialmente è stato un ossimoro”. Ossia:
all’origine, un termine (democrazia) era il contrario dell’altro
(rappresentativa).
Molti di voi, lo so, faticano a capire. Questo perché le oligarchie
vi hanno cambiato di soppiatto il concetto. E’ stato operato uno di
senso e de-potenziamento fatale della “democrazia”. Nel senso originario, indica il popolo che prende ed esercita il potere – contro un tiranno, un re, una oligarchia.
Dunque “Essa designava la potenza collettiva, la capacità di autogoverno”; mentre adesso invece “rinvia solo alle libertà personali- non è più la sovranità del popolo, ma la sovranità dell’individuo”.
Una sovranità degli individui spinto fino “alla possibilità ultima di
mettere in scacco, se necessario, la potenza collettiva”.
Così Marcel Gauchet, post-marxista, “uno dei più importanti studiosi del politico” direttore della rivista Le Débat.
Il fatto è che “una versione liberista-liberale della democrazia ha
soppiantato la sua versione classica”. Attenzione, perché il punto è
cruciale: è l’ideologia del libero mercato che vi ha condizionato a
credere che la “libertà” sia la vostra libertà individuale, di
attuare vostri desideri privati. Dato che siete anzitutto “un
calcolatore razionale alla ricerca di massimizzare il vostro interesse
privato”, senza alcuna preoccupazione per il bene comune. Il mercato
infatti ha bisogno di individui così, consumatori da soddisfare.
Vi dice: voi come individui siete sovrani fino al punto di imporre i vostri desideri e piaceri alla volontà collettiva.
“Di qui a poco a poco – conclude Gauchet – la promozione del diritto democratico provoca l’inabilitazione politica della democrazia”.
Infatti, dice De Benoist, “l’individuo atomizzato quale lo
concepisce la teoria liberale non può essere in primo luogo un
cittadino, un soggetto democratico, perché per definizione estraneo
all’appartenenza che fonda il voler-vivere-in-comune”.
E il governo? Poco male, vi dice la sirena liberal-liberista:
delegatelo ai “vostri rappresentanti”, i quali sono competenti, e si
avvalgono dei “tecnici”; i quali lo delegano alla “Unione Europea”, la
quale lo delega alla banca centrale, al Fondo Monetario, a Goldman
Sachs e Wall Street, a esperti più competenti di voi – voi godetevi
le libertà individuali che la democrazia di mercato vi ha regalato.
Perché il vostro egoismo è “naturale”, così come il “mercato” è lo stato
di natura – a cui non c’è alternativa. Non c’è alternativa al mercato,
quindi cosa volete “governare”?
Ci abbiamo creduto. Fino ad oggi, quando “il popolo ha la sensazione
che la sua situazione sociale continui a deteriorarsi, che l’epoca del
pieno impiego sia definitivamente passata e che l’avvenire sarà
ancora peggiore. Ha la sensazione che i valori cui aderisce siano derisi
o disprezzati [legge Cirinnà, gender nelle scuole]. Ha la sensazione
che il suo stile di vita sia minacciato dalla presenza, sul suolo
nazionale, di una popolazione dai costumi differenti che percepisce
come estranea, se non ostile. Ha la sensazione che l’Unione Europea sia
diventata un progetto antisociale che contribuisce ad aggravare
l’insicurezza economica e culturale”.
Ma non sono affatto sensazioni, come sapete. Le conquiste della “omogenitorialità”, i clandestini da accogliere senza limiti, il
gender nelle scuole, lo ius soli, le “normative d’Europa”, i “diritti
delle minoranze”, la globalizzazione, sono tutti i risultati di una
spoliticizzazione “che è avvertita dalla maggior parte del popolo come
un’insopportabile aggressione perché mira a togliergli la capacità di
decidere, ossia la sua sovranità”.
Il risultato è “una impotenza sociale collettiva senza precedenti storici”(Costanzo Preve). Un totalitarismo della dissoluzione. Gestito dalla
sinistra progressiva: quei “sostenitori della trasgressione morale e
culturale permanente che fanno direttamente il gioco della finanza
mondiale, perché il capitalismo può estendere la sua influenza
unicamente smembrando non solo le strutture di vita comunitarie
tradizionali, ma anche il legame sociale, i valori condivisi,i modi di
vita specifica, le culture popolari. Il capitalismo può trasformare il
pianeta in un vasto mercato, che è il suo scopo, solo se questo pianeta
è stato previamente atomizzato”:
“Senza le nuove piste incessantemente aperte dal liberalismo
culturale, il mercato non potrebbe impadronirsi continuamente di tutte
le attività umane, comprese quelle più intime”: così Jean-Claude
Michéa, pensatore socialista senza complessi, in “Perché ho rotto con la sinistra”.
E’ in questa situazione che sono sorti, in Europa ed Usa, movimenti
populisti. Perché “la condizione di emersione di una mobilitazione
populista è una crisi di legittimità politica che tocca l’insieme
del sistema di rappresentanza” (P. A. Taguieff). Quella patologia
gravissima,terminale della democrazia rappresentativa in cui “destra” e
“sinistra” partitiche colludono, in cui Renzi agisce come Berlusconi e
Berlusconi vuole adottare Renzi, perché hanno lo stesso programma,
servire il Mercato Mondiale da cui non si può uscire. “Lo Stato
collusivo dominato dalla casta oligarchico-tecnocratica verso il quale
siamo avviati ormai da trent’anni” (Jacques Sapir).
Naturalmente, quando sorge il populismo, le elites strillano che
non è legale, che è “demagogico”, dunque mette in pericolo la
democrazia, che è sovranista e le sovranità non esistono più, che vuole
le frontiere ormai abolite, dunque che è passatista; il popolo che
vota i populisti viene spiegato che è (come gli inglesi che votarono
il Brexit) quello poco istruito (strano, quando gli operai votavano
PCI, nessuno diceva che lo facevano perché poco istruiti) nostalgico,
etnicista, che rifiuta gli immigrati e i diversi, – anche
fascistoide (sempre per le élite s ciò che non piace loro puzza di
fascismo).
Balle, propaganda demagogica , perché nessuno supera in demagogia le
oligarchie (basta vedere le loro tv): non facciamoci condizionare da
questi sbarramenti colpevolizzanti e demonizzanti.
“I movimenti populisti”, scrive Paul Picone,”appaiono generalmente
in congiunture storiche speciali, quando il processo democratico è
talmente degenerato da esigere una vera reazione democratica – Il
populismo è in generale una reazione contro il deficit di democrazia ed è
sempre molto più democratico di qualunque sistema fondato sulla
democrazia rappresentativa”.
Insomma: il populismo sarà confuso, commetterà molti errori,
prenderà cantonate, perché vi aderisce gente che è stata disastrata e
atomizzata dalla Forma Capitale, che è una forma “totale” , nel senso
che ci ha tutti antropologicamente minorati, disumanizzati, resi
schiavi del suo politicamente corretto e delle sue “trasgressioni” e
della sua propaganda seduttiva – però è una reazione sana
all’esproprio di democrazia, è un segno di vitalità, di salute, di un
sangue che riprende a scorrere nelle vene collettive, il segno della
volontà di riaffermare il primato del politico sull’economico.
E’, con tutti i suoi difetti, l’albeggiare del concetto di Libertà
“politica”, contrario a quelle “libertà” del Mercato, la libertà
dell’individuo atomizzato, senza appartenenze né patria, nomade
sradicato da ogni condizione storica e sociale: quasi che “l’uomo si
costituisca liberamente a partire dal niente”. No, “la risposta è che la
libertà come l’autonomia va concepita in termini di attaccamento e di
legami, non di lacerazione e sradicamento, di responsabilità verso
l’altro piuttosto che di trasgressione a tutto ciò che unisce i membri
di una società a un fondamento storico-sociale comune”.
Fonte: http://www.maurizioblondet.it/
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