Il fallimento dell’acqua privatizzata: la strana emergenza idrica di Roma
posted by Ulrich Anders
Strane coincidenze in questi giorni.
Il governatore PD del Lazio Zingaretti parla di crisi idrica e a
stretto giro di posta da un lato Acea ventila ipotesi di razionamento
con sospensione di ben 8 ore della fornitura di acqua potabile a 1,5
milioni di romani, dall’altro qualche giornalistucolo prezzolato e blog
dipendente (dipendente da chi li finanzia) lancia l’attacco alla
“fallimentare” gestione pubblica dell’acqua. Si invoca il privato
puntando il dito sulle “dispersioni idriche” responsabili della penuria.
Non riportiamo le citazioni dei giornalistucoli solo per non fare
pubblicità gratuita a questi squallidi personaggetti del sottobosco
dell’informazione italiana al soldo dei potentati.
Noi di SE siamo soliti informarci prima di parlare. Le nostre conclusioni sono che non c’è nessuna emergenza idrica a Roma
(il famoso lago di Bracciano fornisce solo l’8% della fornitura idrica
romana con un prelievo equivalente a 1 mm al giorno), ma soprattutto che
l’acqua di Roma è tutto fuorché a gestione pubblica. Questo è il punto chiave della vicenda.
Acea, l’ex ente comunale romano che gestiva elettricità, acqua potabile e trattamento scarichi fu infatti trasformata in S.p.A. nel 1998 e messa sul mercato da Rutelli per far cassa. Acea s.p.a. oggi è una multiutility quotata in borsa dal 1999, e pur avendo un azionista pubblico di maggioranza viene gestita come tutte le S.p.A., con profitti e distribuzione di dividendi. Se fosse una società pubblica senza fine di lucro non ci sarebbero dividendi, tanto meno a soci privati.
Dal bilancio consolidato 2016 di ACEA si rileva che il settore idrico ha ricavi di 720 milioni e margine lordo MOL (EBITDA) di ben 355 milioni (49,3%). Circa 264 milioni sono andati in investimenti e 91 in dividendi ai soci. Il settore acqua in particolare è estremamente redditizio per gli azionisti, che oltre al Comune includono Suez (23%) e Caltagirone (5%).
Acea, l’ex ente comunale romano che gestiva elettricità, acqua potabile e trattamento scarichi fu infatti trasformata in S.p.A. nel 1998 e messa sul mercato da Rutelli per far cassa. Acea s.p.a. oggi è una multiutility quotata in borsa dal 1999, e pur avendo un azionista pubblico di maggioranza viene gestita come tutte le S.p.A., con profitti e distribuzione di dividendi. Se fosse una società pubblica senza fine di lucro non ci sarebbero dividendi, tanto meno a soci privati.
Dal bilancio consolidato 2016 di ACEA si rileva che il settore idrico ha ricavi di 720 milioni e margine lordo MOL (EBITDA) di ben 355 milioni (49,3%). Circa 264 milioni sono andati in investimenti e 91 in dividendi ai soci. Il settore acqua in particolare è estremamente redditizio per gli azionisti, che oltre al Comune includono Suez (23%) e Caltagirone (5%).
I profitti totali del settore idrico sono il 12,6% del fatturato, valore che la maggior parte delle società si sogna. Ricavi e MOL del settore idrico vengono però per la maggior parte (rispettivamente 550 milioni e 312 milioni) da Acea Ato 2, la divisione di Acea che gestisce anche il servizio idrico del Comune di Roma con concessione trentennale. Il margine lordo di Acea Ato 2 è circa del 57%!!! Il margine del settore idrico vale il 45% del margine totale del gruppo ACEA, ma con un fatturato pari al 25% del totale. Redditività altissima.
La multiutility Acea dà infatti grassi dividendi a tutti i soci, 138 milioni nel 2017, incluso il Comune di Roma (70 milioni), Suez (32 milioni) e Caltagirone (7 milioni).
Analizzando i bilanci degli ultimi 5 anni si conferma che Acea Ato 2 (Roma e dintorni) è la gallina dalle uova d’oro di Acea. In 5 anni l’acqua dei romani ha fornito ben 309 milioni di “proventi da partecipazioni” al gruppo:
Dunque in 5 anni Acea, ovvero i suoi soci, ha sottratto ai romani e convertito in dividendi ben 309 milioni di euro
che avrebbero potuti essere impiegati in investimenti per manutenzione
della rete, miglioramento della qualità o riduzione delle tariffe?
Uno sguardo ora alle dispersioni idriche: secondo ISTAT queste fanno scomparire a Roma il 44,1%
dell’acqua immessa in rete. La manutenzione della rete è in fortissimo
arretrato, considerando ad esempio che a Milano queste sono solo il 12%.
Cosa deduce il cittadino medio dai dati qui sopra?
- Il permanere di abnormi dispersioni idriche è il risultato di investimenti insufficienti nella manutenzione dei 3.700 km di rete di Acea Ato 2. In generale gli investimenti italiani nella rete idrica sono un terzo della media europea (Federutility)
- Se Acea fosse una società pubblica senza fini di lucro tutti i profitti verrebbero reinvestiti nella manutenzione della rete, anziché distribuiti ai soci come dividendi
- Il livello elevatissimo dei margini della gestione idrica, nonostante tariffe ancora molto basse, suggerisce che si può agire sugli investimenti e ridurre le dispersioni anche senza aumenti tariffari
- Forte infine è il dubbio di essere di fronte alla strategia descritta da Noam Chomsky:
“Questa è la strategia standard per privatizzare: togli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente si arrabbia e tu consegni al capitale privato”
A nostro parere quello che serve
veramente per migliorare il servizio di distribuzione dell’acqua non è
“più privato” come predicano i servitori degli interessi finanziari, ma
al contrario una totale e definitiva uscita dalla logica privatistica.
I cittadini devono pagare un servizio e contribuire alla manutenzione
della rete, non distribuire profitti a Comune e soci privati. A
maggior ragione per i monopoli naturali (reti autostradali, idriche,
elettriche) con i suoi milioni di Captive Users, utenti che non hanno
altra scelta. Società Autostrade docet.
Invocare il privato come soluzione a presunte inefficienze del settore pubblico è solo l’ennesimo tentativo di ceti imprenditoriali parassitari di appropriarsi di beni comuni, costruiti dai nostri padri per i loro figli e oggi usati come vacca da latte per multinazionali o ricconi nostrani.
Invocare il privato come soluzione a presunte inefficienze del settore pubblico è solo l’ennesimo tentativo di ceti imprenditoriali parassitari di appropriarsi di beni comuni, costruiti dai nostri padri per i loro figli e oggi usati come vacca da latte per multinazionali o ricconi nostrani.
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