MEDIOEVO
Con il nome di MEDIOEVO viene indicato
convenzionalmente il periodo storico che inizia, secondo la cronologia
tradizionale, con il 477 e si conclude con il 1492, data della scoperta
dell'America, indicata come inizio dell'Età Moderna.
Questo termine introdotto dagli umanisti nel tardo 1400, ha un tono in parte
spregiativo perché questo periodo era considerato una lunga epoca di transizione
dalla civiltà classica a quella rinascimentale; si tratterebbe secondo questa
interpretazione, di una età priva di caratteri originali, contrassegnati
unicamente dall'oscurantismo e dalle barbarie.
Lo abbiamo già detto che non è affatto così, ed è un peccato che ancora in molte opere saggistiche di storia venga ancora descritta (anche attuali) usando questi termini, che fanno resistere luoghi comuni, e che attingono con le loro ricerche a testi che hanno sopra la polvere di mille anni e sono sicuramente di parte.
"Storici" che per secoli -ha detto qualcuno - hanno fatto di tutto per imbrogliare le carte e renderle quanto più possibile oscure, e bisogna dar loro atto che ci sono riusciti. Ancora più deprimente è vedere testi scolastici dove l' insegnamento che si offre agli studenti è fatto su un panorama di fatti e di istituzioni medioevale senza un orientamento storiografico e un approfondimento più ampio.
Possiede personalmente l'estensore di queste note, libri stampati nell'arco di 500 anni che sono un continuo ricopiare da quelli precedenti, e ci sono ancora oggi testi storici attuali che non tengono in nessun conto di quell'approfondimento detto sopra, che invece è possibile fare, esiste, è oggi disponibile in quelle biblioteche che possiedono opere recenti di storici, e che sono arricchite da ricerche oggettive, nuove versioni dei fatti che ci pervengono da milioni di documenti fino a poco tempo fa introvabili, non facilmente reperibili, e se pure in qualche caso citati, alcuni passi omessi, spesso edulcorati oppure -con la faziosità- non riportati con le opportune comparazioni che oggi - se vogliamo una storia oggettiva- si devono e si possono fare ricorrendo agli studi di altre discipline scientifiche che oggi si occupano -anche indirettamente- di storia. Ma che per fortuna esistono per chi vuole approfondire. Non basta più lo storico, che ci dice tutto su quel tipo di società guardando solo l'aspetto politico-sociologico, ma ignora tutti gli altri che non sono meno importanti, anzi determinanti.
Per fare queste scoperte nascono anche opere di come orientarsi, e si citano ad esempio: "Introduzione allo studio della storia medioevale" di Delogu -Il Mulino 1995", e altri autori come P. Dolilinger, E. Sestan, P. Courcelle, C. Cipolla, Cinzio Violante con "Prospettive storiografiche sulla società medioevale -dove ci sono 40 anni di ricerche di questi studiosi che sono determinanti nell'individuazione di complessi temi e problemi storici fino ad oggi ignorati- F.Angeli Ed. 1995", ci sono i 32 volumi della Storia della Cambridge University - Garzanti Ed."" che sono abbastanza recenti ma che sembrano anche questi ignorati dai compilatori di testi storici (forse perchè per possederli occorrono una decina di milioni? - ma perché non vanno a leggerli in una buona pubblica biblioteca dove sono a disposizione?).
In quest'opera monumentale, un periodo storico viene visto da diversi punti di osservazione molto autonomi (600 esperti del ramo sono gli estensori dei vari capitoli); esempio: chi ha fatto un'analisi economica non ha nessuna soggezione verso chi ha trattato in altre pagine un'analisi di tipo religioso, politico, intellettuale o magari di tipo tecnologico e perfino alimentare. L'introduzione nel 1200 e nel 1700 del banale (ed economico) zucchero in occidente (quello di canna nel 1200-1300, quello più economico di barbabietola nel 1700) i dietologi ma soprattutto i neuroscienziati attribuiscono al questo fondamentale alimento (e ai suoi aminoacidi) la trasformazione delle società del tempo: prima quella rinascimentale, poi quella delle invenzioni; del pensiero creativo; della rivoluzione industriale e di conseguenza quelle delle vere e proprie rivoluzioni politiche e sociali; cioè una mutazione (a livello atomico-molecolare e quindi genetico) del pensiero filosofico-scientifico del 1200-1300, poi quello del 1700 (e a tale proposito ci è utile anche l'altrettanto monumentale opera di Geymonat, "Storia del pensiero filosofico e scientifico" - le 10.000 pagine in 9 volumi editi sempre dalla Garzanti.
E poi, molti, molti altri, interessanti saggi, che offrono panorami dove c'è una completa rivalutazione del Medioevo, della sua funzione storica e della sua cultura, che ha reso più plausibile parlare di una "civiltà medievale" con caratteri decisamente originali e particolari.
Poi, sarebbe poco chiedere a chi si interessa a una divulgazione della Storia di leggere anche la Storia scritta dall'altra parte della barricata, quella dei vinti: o vogliamo considerarci i soli ad avere la presunzione di possedere l' unica fonte - la nostra - e di conoscere (monopolizzandola?) la verità assoluta?
Ancora oggi in occidente sono rari i saggi di storia scritti da orientali (si pensi alle Crociate); rarissimi quelli che ci raccontano cosa veramente accadde quando ci furono le colonizzazioni in Asia, in India, in Giappone, nelle Americhe, in Africa. Perfino dell'ultima guerra in Vietnam sappiamo solo una versione; eppure ipocritamente affermiamo con orgoglio che l'umanità possiede oggi ricche fonti di informazione pluralistiche, planetarie, globalizzate. Ma dove e quali sono? E soprattutto chi le distribuisce?
Nel cercare alcuni fonti per compilare questa cronologia, l'autore ha trovato alcuni saggisti che hanno dato delle interpretazioni a certi fatti storici con una approssimazione e una superficialità incredibile; punti di vista (spesso non soggettivi ma perfino "oggettivi" ma falsi!) diametralmente opposti a quelli degli avversari.
Ad esempio tutti gli appoggi dati dall'Inghilterra all'indipendenza della Sicilia (dal '700 in poi - da Napoleone fino a Churchill) furono sempre legati alle ricche solfatare dell'isola, necessarie (perchè era l'unica fonte) allo sviluppo della metallurgia inglese.
E quando si tratta di dare l'importanza storica di un personaggio scomodo a un "regime", è triste vederlo liquidare con battute di spirito, o peggio con un luogo comune degno alle volte di un alunno di seconda elementare, non di oggi ma perfino di mille anni fa.
Oggi - indagando- scopriamo invece insignificanti rapporti di natura diversi ma legati a certi fatti che è impossibile ignorare; come potrebbe essere perfino la "Storia del clima" di Le Roy Ed. Flammarion - Parigi, un'acquisizione archivistica rintracciata in varie parti della terra che fanno ribaltare certe conoscenze, sulla salute, la longevità degli abitanti, le economie, la demografia di un popolo, che fanno passare quasi in secondo piano le vicende storiche-politiche a quei popoli legate, o le fanno diventare conseguenziali.
Alcune decadenze o fioriture di civiltà le abbiamo sempre attribuite a personaggi storici che sono - dicevamo fino a ieri - riuscite a cagionarle o a promuoverle, mentre ora ci accorgiamo, che erano forse dovute a una semplice diminuzione di umidità del clima, ad alluvioni durate per 10 anni (1310-1320) cui seguì subito dopo una carestia apocalittica durate 20 anni (1320-1340 ) e che ebbe nello stesso periodo, il colpo di grazia con una pandemia di peste (1348-1350) che ridusse la popolazione d' Europa la metà dei suoi abitanti, alcuni paesi, alcune città, alcune campagne, rimasero totalmente senza abitanti, e alcuni territori anche senza il sovrano e i suoi funzionari. Oppure alla scoperta di un banalissimo territorio con importantissime (in una certa epoca) materie prime (come le solfatare nel '700-'800; o come il petrolio nel '900)
Non ci rendiamo conto che basterebbe che in Italia non piovesse per soli tre mesi (non due anni come nel medioevo alcune volte è accaduto), ed entra in crisi tutta l'economia dei trasporti, della mobilità delle persone e quindi l'intera economia, il modello di sviluppo, la politica, e la stessa civiltà.
Abbiamo visto ATTILA che abbandona l'Italia e rinuncia ad invaderla per l'intervento di papa Leone Magno, cioè - così passò alla storia- per un intervento divino, soprannaturale; mentre oggi sappiamo che proprio in quell'anno in Italia c'era una grande carestia alimentare per il clima - la siccità- e nello stesso tempo era scoppiata una peste di notevoli proporzioni, e che proprio nella pianura Padana invasa da Attila la pandemia fece registrare da Milano ad Aquileia le punte più alte della mortalità.
Non c'erano ancora i paesini interni, cioè fuori dalle grandi strade di comunicazioni, ma erano gli abitati quasi tutti dislocati su queste grandi direttrici; e non doveva essere uno spettacolo incoraggiante per un condottiero -con tante velleità di conquiste come Attila- vedere da Milano a Verona le ecatombe di sepolture lungo la strada principale. E se ci fu in quella decisione di Attila qualcosa di soprannaturale questo era vero! infatti c'era la forza della Morte che mieteva vittime.
Su questo singolare fatto c'è ancora un altro dato interessante.
Tutti i Vandali e Unni proprio perché provenivano dalle zone Mongole-Cinesi erano immuni a certe epidemie; loro del resto erano già i sopravvissuti di una rigorosa selezione.
Mentre la peste in Italia era ancora sconosciuta, e l'immunità genetica gli italici non l'avevano, perchè erano flagelli che in Italia non erano mai giunti. Quelle precedenti erano (lo sappiamo dalla sintomatologia dell'epoca) di altra natura. Sia quella del 66 che nel 166 (vedi) erano infatti di vaiolo, due epidemie arrivate a Roma dall'Africa e dalla Siria.
I Vandali e gli Unni invece della peste ne erano immuni, perché dagli annali cinesi, oggi sappiamo che solo nel periodo 1-477 d.C., ebbero 34 grandi epidemie, e nella pandemia del 312-318 sopravvissero solo il 2% di chi pagava le tasse (che causò un crollo dell'economia); sappiamo che un generale cinese che stava difendendosi dai barbari nella zona mongolica turca (quelli che verranno poi in occidente, con una avvenuta selezione naturale, quindi immuni) perse per una terribile peste in pochi mesi 7 decimi del suo esercito.
Quando giunsero in Occidente gli Unni erano immunizzati, ma erano dei portatori sani. E nessuno meglio di loro sapeva cos'erano quelle sintomatologie che in Italia erano ancora sconosciute, e molto frettolosamente e fatalisticamente attribuite al diavolo e al castigo divino.
Ci valga come esempio più recente le pochissime morti in occidente nel 1518 a causa del morbillo; ma quando gli occidentali sbarcarono in America l' 87% della popolazione precolombiana morì proprio per questa banalissima malattia nelle Americhe ancora sconosciuta. In Messico ne morirono il 97 %. Cortes più che un conquistatore fu un grande becchino di una ecatombe di cadaveri, che morivano in massa, o con la febbre a 40 delirando cadevano da soli sopra le spade degli spagnoli.
Dalle ultime indagini, l'America era abitata da 100 milioni di individui, (all'incirca pari alla popolazione europea occidentale) ma 50 anni dopo Cortes, i suoi uomini e dopo i vari letali contagi si erano ridotti a poco più di 5-6 milioni. Eppure Cortes viene ricordato nella Storia come il conquistatore del Messico.
Così nell'Europa del primo e nel tardo medioevo; alle frontiere, quando Romani e Barbari insieme erano ormai diventati i custodi dei confini, i primi - con alcune malattie sconosciute - cadevano come le mosche, e solo gli altri ostrogoti, unni, vandali ecc. - restavano in piedi.
Risultato: all'incirca nell'anno 600, l'ex Impero Romano aveva perso nella promiscuità con i barbari (micidiale - ricordiamoci che erano portatori sani, ma portatori) tutti i soldati; e la popolazione italica sulla penisola era diminuita da 15 milioni a 5 milioni, invece i Germani (i barbari) erano saliti da 5 milioni a 15 milioni.
Quando dalla Crimea venne la apocalittica peste nera del 1348-1350 dove tutta l' Europa perse la metà della sua popolazione, la regione che fu risparmiata totalmente fu proprio la Pannonia (l'Ungheria) dove come abbiamo visto in questi ultimi anni ci fu la più alta concentrazione degli insediamenti Unni e di Ostrogoti di origine asiatica; e molto limitate furono le vittime nel cuore della Germania.
In Lombardia il ceppo della popolazione longobarda (barbara - anche se erano già passati 700 anni dal loro arrivo) registrò nemmeno un ventesimo di vittime rispetto alle popolazioni del centro e del sud Italia, ancora totalmente originaria del ceppo Italico, geneticamente non immune, anche se esposta.
Oggi conosciamo benissimo dopo 1500 anni, le componenti cromosomiche e genetiche delle generazioni che si sono susseguite; queste portano ancora le immunità degli amici di Attila e compagni. Oggi è molto facile stabilirlo col DNA mitocondriale. ( Le Pesti e le epidemie nella Storia, di Mc Neill- Ediz Einaudi 1982 - significativa l'allegata cartina della mortalità europea nel 1348-1350).
La Storia in certi casi è tutta da riscrivere alla luce di questi fatti. Certi "grandi" uomini influirono molto poco sugli eventi. E se noi oggi possiamo qui scrivere e leggere la loro storia, è perché i barbari si fusero con le genti italiche, vi trasmisero certe immunità genetiche; cioè i nostri antenati -quasi di ognuno di noi- riuscirono a cavarsela proprio perché vennero i barbari, altrimenti saremmo scomparsi come il 97 % dei popoli delle civiltà Precolombiane; e se questo accadeva queste righe nè l'autore le poteva scrivere nè il lettore italico riusciva a leggerle.
Ringraziamo i Barbari, e non chiamiamoli più i distruttori, ma i salvatori di tutto il vecchio popolo latino, che in un certo periodo fu sul punto di estinguersi del tutto.
La caratteristica quindi della storia dell'inizio del Medioevo è costituita prima dallo scontro, poi dalla fusione dei due elementi latino e barbarico. La si fa iniziare con il 477: e infatti a partire da questa data l'infiltrazione dei barbari,- già presenti all'interno dei confini dell'Impero - prende la forma di una supremazia demografica sempre più marcata su quanto era rimasto della popolazione italica romana, che stava vivendo un momento molto critico non solo politico ma fisico.
(Un'altra curiosità; tutti gli italici-latini erano alti circa 150-
160 cm. ma dopo l'invasione dei longobardi con i vari incroci dei 500.000
barbari di Alboino (tutti quasi uomini in età "gagliarda"- quindi
si accoppiarono abbondantemente con le donne italiche) durante la loro dominazione
la media salì improvvisamente a 170-180 cm., ma solo nelle zone occupate
dai barbari; gli altri (del centro e del sud) rimasero per altri 1300-1400
anni con la stessa altezza.
MEDIOEVO - MUTAZIONE ANCHE SOCIALE - INIZIA IL FEUDALESIMO
Con l'avvento dell'Impero Romano-Barbarico (che precede quello cristiano
- il Sacro Romano Impero a partire da quello Carolingio) la nuova società
(mutuando dai barbari usi e costumi e soprattutto la vocazione alla terra
- molto ambito il proprio pezzetto di terra personale) diventa una società
agricolo-pastorale; avviene cioè lo spopolamento delle città, con una radicale
trasformazione dell'economia, che non è più organizzata e centralizzata
dallo stato (che non esiste più), ma diventa sempre di più frazionata e
autonoma; si forma una serie di nuclei locali, territoriali, con la figura
del Conte e del Duca che da dentro la sua istituzione con un suo
preciso quadro giuridico (prima padrone di sé, quasi anarchico, poi anche
legittimato dai piccoli re e principi - conti o duchi diventati tali con
la forza delle armi ovviamente a spese di altri conti e duchi) guida ad
ogni passo il cittadino (che non si chiama più così, ma "gleba",
cioè una comunità di "servi" a suo servizio in casa e nelle attività
lavorative).
Nasceva così un rapporto di subordinazione imposta o volontaria, un "legame" personale chiamato "gewas". In antico celtico significava "servo", inteso come uomo di qualcun altro, fedele, pronto a servirlo e anche a combattere per lui in cambio di qualcosa, per ricevere lui stesso protezione, e soprattutto per ricevere un concreto mantenimento. Quest'ultimo poteva essere o gli "alimenta" oppure l'attribuzione di un pezzo di terra produttivo da coltivare (solo dopo venne il vero e proprio affidamento) ma non cessava di essere gewas (vassallo), anzi riceveva in più la responsabilità di mantenere l'ordine nei territori a lui affidati.
Quando le conquiste si ampliarono (come quando i carolingi giunsero al potere) a loro volta i gewas crearono un analogo sistema di distribuzioni di onori e di terre; questi beneficiari presero il nome di wald gewas (wald = terra selvatica, foresta- servi della terra incolta) cioè valvassori.
Una figura - quella del nuovo nobile - che non doveva più rispondere allo Stato e dipendere dallo Stato, ed era - contenti o no - l'unico punto di riferimento della gleba; diventa così lui arbitro in ogni questione di carattere esistenziale e anche spirituale; la prima per motivi di sopravvivenza alimentare, la seconda (questo avvenne subito dopo) - chiesa, vita religiosa, ubbidienza, frugalità, continenza - la offriva come unica fonte di una altrettanto unica visione della realtà. Molto misera, cioè una visione ormai vuota di sentimento e senza una coscienza di unità culturale e politica. Questo accadde anche dove c'erano consistenti nuclei e ambienti intellettualmente formati, ma che via via - sempre più deboli- iniziarono a frammentarsi, infine a scomparire nell'anonimato di una collettività resa apatica ad ogni cosa, che non aveva più nessun contatto con altre popolazioni, spesso anche vicinissime. Iniziò questa "civiltà del villaggio" a regredire in una autarchia sia economica che culturale; una vita dunque - questa sì "eroica"- appena appena sussistenziale, solo di sopravvivenza, senza ricchi "cibi" per il corpo nè per la mente. Vivi ma vegetali.
La produzione inizia ad essere puramente autarchica, si produce solo lo stretto necessario perchè il villaggio si è chiuso su se stesso, non fa più scambi, non ha più strade, si è chiuso al libero mercato, con la conseguenza che non riuscendo a vendere più nulla, nulla può più comprare. Inoltre non scambia informazioni, e non riceve patrimoni di conoscenze. Questa miseria materiale e culturale porta irreversibilmente ad una povertà esistenziale, ad una totale involuzione della civiltà. L'unico incoraggiamento che riceverà d'ora in avanti il poveretto -in questo misero vivere- è la rassegnazione. E purtroppo "vivere" nella natura umana non é rassegnarsi (stare seduti e aspettare); questo é il coraggio ridicolo dello sciocco. Con la rassegnazione non si va da nessuna parte, si resta fermi, sempre più deboli, e sempre più esposti. Ed è quello che accadde quando queste città e questi paesi furono assaliti. E non solo dai barbari! I "barbari" scesero dalle città, scoprirono i fondi che fino a pochi anni prima avevano disprezzato. Corti e cortili diventarono provvidenziali piccoli "regni" dove esercitare quell'autorità che avevano in città perso.
Se dobbiamo credere a Procopio "La rovina andò sempre crescendo coi nuovi tempi; i nuovo assedi, il fanatismo e le intestine guerre; Roma vide rinascere i conflitti con Alba a Tivoli; si batteva ella sulle proprie porte; gli spazi vuoti compresi nella sua cinta divennero campo a quelle battaglie che in altri tempi essa portava ai più lontani popoli della terra...I lupi ed altri selvaggi animali passeggiavano liberamente pei vuoti anfiteatri fabbricati per loro; ma non v'erano più vittime da divorare" (Procopio. Historia Vand.)
Ora in un ambito sociale così definito che venne soprattutto rimodellato sull'esempio delle istituzioni barbare (istituzioni nate da organizzazioni preesistenti tribali ma che poi riceveranno perfino una rigida applicazione con il potere temporale papale) questa nuova società dà origine a quella classe nobiliare, prima di Duchi, poi di Conti, che prima (ad esempio nella corte bizantina) erano nominati tali solo per svolgere determinate cariche pubbliche come funzionari, ma poi (con forti pressioni) divennero presto queste cariche ereditarie, nel quadro generale di feudalizzazione che sempre di più si avvierà a formare una potente classe nobiliare, che avrà autonomamente in concessione terre e popolazioni coatte per far fronte con un rapporto di vassallaggio con una serie di aiuti nei confronti di chi ha concesso a loro i titoli (Papi-Imperatori o Imperatori-Papi, o Principi Vescovi) dando (o obbligati a dare) i contributi necessari per continuare ad esistere o conservare privilegi. Contributi in mezzi e uomini che il feudatario sarà sempre costretto a fornire al sovrano o al principe di turno, pena la destituzione, la spoliazione dei beni e la soppressione dei privilegi (per tanti motivi - non ultimi quelli religiosi- questo accadde spesso- vedi la spoliazione degli ariani o eretici).
Se il feudalesimo europeo, trova la sua lontana origine nel mondo barbarico germanico, dobbiamo però dire che un qualcosa di simile si era già sviluppato anche dentro il mondo romano e in quello bizantino poco prima, durante e subito dopo lo sfacelo dell'impero. Nella vita sociale di questo inizio d'epoca feudale le tradizioni barbariche e quelle nate già prima della caduta dell'impero romano (vedi Corte di Bisanzio con Costantino, poi Teodosio) entrambe si influenzarono.
Vedremo fra poco che lo stesso Teodorico, nel suo Editto, manterrà moltissime (tribali) consuetudinarie leggi, norme, istituzioni delle popolazioni barbariche, ma in moltissime altre manterrà anche quelle del diritto romano; ma anche all'incontrario e che resistono ancora oggi.
Il FEUDALESIMO GERMANICO che è approdato in Italia, era una continuazione di quei legami sociali non fondati sulle leggi scritte, contratti o convenzioni, ma stabiliti dal legame familiare, di sangue parentale, poi di clan, poi di tribù. Unione di tante famiglie con rapporti sociali molto più vasti, quindi non più solo stima e ubbidienza al capo famiglia (pur conservando gelosamente anche questo) ma soprattutto subordinazione al capo del clan, al capo tribù, che era poi il più valoroso, il più audace, il più intelligente uomo della tribù.
Solo più tardi (e qui ci fu l'influenza del diritto romano sul concetto di proprietà e l'ereditarietà dei titoli) i barbari (ma solo in Italia) si adeguarono alle leggi romane (e ad alcuni conveniva pure).
Ma sulla guida della comunità, in alcune zone - come in Alto Adige- resiste ancora oggi una "legge razionale", il capo delle locali unità di protezione civile (militare o paramilitare) è sempre il più abile, non il più ricco e neppure il figlio (magari malaticcio) dell'abile deceduto. Altrettanto la "legge del maso chiuso" ancora vigente: la proprietà terriera (casa, bestiame, culture, negozi e altri beni) va al primo figlio, e solo se questo è "abile" e sano. E questo per conservare integra e sana la proprietà dell'antica "dinastia" patriarcale, o del clan. Ancora oggi in Alto Adige ci sono poderi anche di modeste famiglie che contano 500, 1000, 1500 anni di vita. A Glorenza il vinaio, il panificio, il fabbro ecc. hanno l'insegna con lo stesso nome da secoli e secoli. E il proprietario-erede ha conservato le stesse proprietà terriere (piccole o grandi) del suo antenato.
Nasceva così un rapporto di subordinazione imposta o volontaria, un "legame" personale chiamato "gewas". In antico celtico significava "servo", inteso come uomo di qualcun altro, fedele, pronto a servirlo e anche a combattere per lui in cambio di qualcosa, per ricevere lui stesso protezione, e soprattutto per ricevere un concreto mantenimento. Quest'ultimo poteva essere o gli "alimenta" oppure l'attribuzione di un pezzo di terra produttivo da coltivare (solo dopo venne il vero e proprio affidamento) ma non cessava di essere gewas (vassallo), anzi riceveva in più la responsabilità di mantenere l'ordine nei territori a lui affidati.
Quando le conquiste si ampliarono (come quando i carolingi giunsero al potere) a loro volta i gewas crearono un analogo sistema di distribuzioni di onori e di terre; questi beneficiari presero il nome di wald gewas (wald = terra selvatica, foresta- servi della terra incolta) cioè valvassori.
Una figura - quella del nuovo nobile - che non doveva più rispondere allo Stato e dipendere dallo Stato, ed era - contenti o no - l'unico punto di riferimento della gleba; diventa così lui arbitro in ogni questione di carattere esistenziale e anche spirituale; la prima per motivi di sopravvivenza alimentare, la seconda (questo avvenne subito dopo) - chiesa, vita religiosa, ubbidienza, frugalità, continenza - la offriva come unica fonte di una altrettanto unica visione della realtà. Molto misera, cioè una visione ormai vuota di sentimento e senza una coscienza di unità culturale e politica. Questo accadde anche dove c'erano consistenti nuclei e ambienti intellettualmente formati, ma che via via - sempre più deboli- iniziarono a frammentarsi, infine a scomparire nell'anonimato di una collettività resa apatica ad ogni cosa, che non aveva più nessun contatto con altre popolazioni, spesso anche vicinissime. Iniziò questa "civiltà del villaggio" a regredire in una autarchia sia economica che culturale; una vita dunque - questa sì "eroica"- appena appena sussistenziale, solo di sopravvivenza, senza ricchi "cibi" per il corpo nè per la mente. Vivi ma vegetali.
La produzione inizia ad essere puramente autarchica, si produce solo lo stretto necessario perchè il villaggio si è chiuso su se stesso, non fa più scambi, non ha più strade, si è chiuso al libero mercato, con la conseguenza che non riuscendo a vendere più nulla, nulla può più comprare. Inoltre non scambia informazioni, e non riceve patrimoni di conoscenze. Questa miseria materiale e culturale porta irreversibilmente ad una povertà esistenziale, ad una totale involuzione della civiltà. L'unico incoraggiamento che riceverà d'ora in avanti il poveretto -in questo misero vivere- è la rassegnazione. E purtroppo "vivere" nella natura umana non é rassegnarsi (stare seduti e aspettare); questo é il coraggio ridicolo dello sciocco. Con la rassegnazione non si va da nessuna parte, si resta fermi, sempre più deboli, e sempre più esposti. Ed è quello che accadde quando queste città e questi paesi furono assaliti. E non solo dai barbari! I "barbari" scesero dalle città, scoprirono i fondi che fino a pochi anni prima avevano disprezzato. Corti e cortili diventarono provvidenziali piccoli "regni" dove esercitare quell'autorità che avevano in città perso.
Se dobbiamo credere a Procopio "La rovina andò sempre crescendo coi nuovi tempi; i nuovo assedi, il fanatismo e le intestine guerre; Roma vide rinascere i conflitti con Alba a Tivoli; si batteva ella sulle proprie porte; gli spazi vuoti compresi nella sua cinta divennero campo a quelle battaglie che in altri tempi essa portava ai più lontani popoli della terra...I lupi ed altri selvaggi animali passeggiavano liberamente pei vuoti anfiteatri fabbricati per loro; ma non v'erano più vittime da divorare" (Procopio. Historia Vand.)
Ora in un ambito sociale così definito che venne soprattutto rimodellato sull'esempio delle istituzioni barbare (istituzioni nate da organizzazioni preesistenti tribali ma che poi riceveranno perfino una rigida applicazione con il potere temporale papale) questa nuova società dà origine a quella classe nobiliare, prima di Duchi, poi di Conti, che prima (ad esempio nella corte bizantina) erano nominati tali solo per svolgere determinate cariche pubbliche come funzionari, ma poi (con forti pressioni) divennero presto queste cariche ereditarie, nel quadro generale di feudalizzazione che sempre di più si avvierà a formare una potente classe nobiliare, che avrà autonomamente in concessione terre e popolazioni coatte per far fronte con un rapporto di vassallaggio con una serie di aiuti nei confronti di chi ha concesso a loro i titoli (Papi-Imperatori o Imperatori-Papi, o Principi Vescovi) dando (o obbligati a dare) i contributi necessari per continuare ad esistere o conservare privilegi. Contributi in mezzi e uomini che il feudatario sarà sempre costretto a fornire al sovrano o al principe di turno, pena la destituzione, la spoliazione dei beni e la soppressione dei privilegi (per tanti motivi - non ultimi quelli religiosi- questo accadde spesso- vedi la spoliazione degli ariani o eretici).
Se il feudalesimo europeo, trova la sua lontana origine nel mondo barbarico germanico, dobbiamo però dire che un qualcosa di simile si era già sviluppato anche dentro il mondo romano e in quello bizantino poco prima, durante e subito dopo lo sfacelo dell'impero. Nella vita sociale di questo inizio d'epoca feudale le tradizioni barbariche e quelle nate già prima della caduta dell'impero romano (vedi Corte di Bisanzio con Costantino, poi Teodosio) entrambe si influenzarono.
Vedremo fra poco che lo stesso Teodorico, nel suo Editto, manterrà moltissime (tribali) consuetudinarie leggi, norme, istituzioni delle popolazioni barbariche, ma in moltissime altre manterrà anche quelle del diritto romano; ma anche all'incontrario e che resistono ancora oggi.
Il FEUDALESIMO GERMANICO che è approdato in Italia, era una continuazione di quei legami sociali non fondati sulle leggi scritte, contratti o convenzioni, ma stabiliti dal legame familiare, di sangue parentale, poi di clan, poi di tribù. Unione di tante famiglie con rapporti sociali molto più vasti, quindi non più solo stima e ubbidienza al capo famiglia (pur conservando gelosamente anche questo) ma soprattutto subordinazione al capo del clan, al capo tribù, che era poi il più valoroso, il più audace, il più intelligente uomo della tribù.
Solo più tardi (e qui ci fu l'influenza del diritto romano sul concetto di proprietà e l'ereditarietà dei titoli) i barbari (ma solo in Italia) si adeguarono alle leggi romane (e ad alcuni conveniva pure).
Ma sulla guida della comunità, in alcune zone - come in Alto Adige- resiste ancora oggi una "legge razionale", il capo delle locali unità di protezione civile (militare o paramilitare) è sempre il più abile, non il più ricco e neppure il figlio (magari malaticcio) dell'abile deceduto. Altrettanto la "legge del maso chiuso" ancora vigente: la proprietà terriera (casa, bestiame, culture, negozi e altri beni) va al primo figlio, e solo se questo è "abile" e sano. E questo per conservare integra e sana la proprietà dell'antica "dinastia" patriarcale, o del clan. Ancora oggi in Alto Adige ci sono poderi anche di modeste famiglie che contano 500, 1000, 1500 anni di vita. A Glorenza il vinaio, il panificio, il fabbro ecc. hanno l'insegna con lo stesso nome da secoli e secoli. E il proprietario-erede ha conservato le stesse proprietà terriere (piccole o grandi) del suo antenato.
Nel feudalesimo che sta invece per iniziare ora, spesso accadrà che il figlio
del principe, del duca o del conte, nonostante malato, pazzo o stupido,
seguiterà a ereditare i ducati, le contee e perfino i regni; "governandoli"
con tutte le negative conseguenze.
Attila scoppiò in una risata isterica quando gli dissero che a Ravenna l'imperatore era un bambino; "... ma allora chi comanda gli eserciti? Chi guida il popolo? Chi fa i trattati? I governanti o le balie?". Ai barbari simili istituzioni erano perfino inconcepibili, sfuggivano ad ogni logica "naturale"; solo il più forte e il più intelligente comandava il branco.
Attila scoppiò in una risata isterica quando gli dissero che a Ravenna l'imperatore era un bambino; "... ma allora chi comanda gli eserciti? Chi guida il popolo? Chi fa i trattati? I governanti o le balie?". Ai barbari simili istituzioni erano perfino inconcepibili, sfuggivano ad ogni logica "naturale"; solo il più forte e il più intelligente comandava il branco.
DOPO QUESTA INTRODUZIONE AL MEDIOEVO POSSIAMO
RICOMINCIARE A NARRARE GLI EVENTI DEGLI ANNI
GENSERICO - Il re dei Vandali, che ha governato ininterrottamente
per 47 anni anni, muore quest'anno in Africa. Non conosciamo il suo anno
di nascita, ma se facciamo alcune considerazioni, se era partito dalla Spagna
già come capo dei Vandali, si presume che avesse allora 25-30 anni, quindi
dovrebbe essere morto all'età venerabile di circa 75-80 anni.
Gli succede il figlio UNERICO, ma è una eredità quella del padre molto difficile
da amministrare e quindi conservare. In poco più di una generazione,
della grande conquista di Genserico non rimase più nulla. Trionfò solo la
pusillanimità degli eredi. Continua QUI
Leggi anche: Dal 753 al 510 a.C. all'anno Zero e il link posto a fine pagina per avere una sequenza cronologica fino ad arrivare al Medio Evo.
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