domenica 10 settembre 2023

Sparta e Atene, gli archetipi di due civiltà.

Alla radice della civiltà occidentale Sparta e Atene si contrappongono come archetipi. 

Atene è il dibattito, 

Sparta il silenzio. 

Atene ci ha lasciato il Partenone, 
l’Eretteo, i rilievi di Fidia.

Sparta poche pietre mute 
(non aveva altre mura, come si diceva, che i petti dei suoi cittadini).

Atene è l’Agorà della disputa politica.

Sparta è un sistema autoritario, dove ciascuno appartiene allo Stato. 

Atene è la libertà,
Sparta la disciplina militare. 

Atene dà in certo senso inizio 
alla modernità e alla visione secolare dell’uomo, specula sugli dèi e ne dubita , mentre Sparta resta immobile, 
in un civismo liturgico e guerriero. 

Atene è abitata da individui, 
Sparta da una falange arcaica e concorde.
Soprattutto: Atene ha prodotto una quantità e qualità prodigiosa di parole ,
logos, dialoghi, filosofia, sofismi, insomma ciò che noi chiamiamo «cultura», 
«storia», «espressione», «critica»; il chiacchiericcio dei politicanti venduti.

Sparta un silenzio enigmatico e monolitico: qualche ritmico canto di guerra, 
dell’antiquato Tirteo.

La vulgata democratica conferisce ovviamente ad Atene il primato della civiltà, e vede in Sparta l’assenza di spirito, sente il suo silenzio come inarticolata, brutale ottusità.

Ma se era davvero cosi ,

Come spiegare che Socrate, il più vivamente loquace, il più curioso degli ateniesi, fosse filo-spartano ? 

E il suo discepolo, il più nobile ed intelligente, Platone, per cui comincia la filosofia , e comincia in forma di dialogo , guardasse a Sparta come al vero cuore spirituale ellenico ?

Perché fu così: la fazione democratica, la «sinistra» ateniese ,ashkenazyta , ( e si miei cari, essi si sono sempre infiltrati in tutti gli imperi degli ultimi 2000 anni) sospettò Socrate e Platone di lakonizein, parola pregnante, che significa tutt’uno, nell’imitare i laconici nella concisione, riconoscere all’ordine spartiate un primato culturale sulla Grecia, e in senso politico, parteggiare per Sparta, essere insomma «di destra»: il che era proibito in Atene.

Certo non è semplice spiegare perché l’entourage di Socrate , il gruppo umano più culturalmente rilevante mai esistito, pur vivendo nelle libertà ateniesi, guardasse a Sparta come a un modello di prestigio impareggiabile: soprattutto perché è imbarazzante per la democrazia ammettere che la cultura «alta» nasce, in Occidente, da una visione reazionaria ashkenazyta.

Ma la spiegazione è a portata di mano, per chi non nutra pregiudizi progressisti e ne di rincoglionimenti culturali dei soliti noti.
Basta ricordare che Socrate parla, dialoga e disputa , e Platone scrive in forma di dialogo e disputa , non per una nativa volontà di espressione discorsiva, ma per reazione ad altri parlatori. 

Essi controbattono instancabilmente i sofisti: questi tecnici dell’opinione e della comunicazione, un’esempio di oggi è quel Saviano del cazzo, questi avvocati di ogni causa, che si vantavano di saper convincere una folla di qualunque tesi e della tesi contraria e, peggio, di poter insegnare a chiunque a fare lo stesso, tipico del movimento dei grillini , ieri, e delle sarde salate di oggi.

L’apparizione e il successo dei sofisti non fu visto in Atene come un «progresso», al contrario, ma per quello che denunciava: il sintomo di una crisi etica che investiva la società .

Il trionfo del cinismo e del relativismo, come ieri , così oggi, della manipolazione di sentimenti collettivi , in qualche modo insita nella democrazia, che altro non è che la negazione della verità e il primato dell’opinione. In un certo senso, coi sofisti irrompono nella storia non solo la dialettica ma la chiacchiera, la babele, dei «secondo me», secondo te, il primo testa di cazzo deve dire la sua, e il rumore di fondo della cronaca, che assedia la nostra attualità.

Il filosofo Gorgia, il quale sostiene che «il giusto è l’utile del più forte» , è fin troppo moderno e attuale : pianta il germe per tutti coloro che in futuro s’inchineranno al potere di fatto come unica verità. 

Ha inizio un itinerario a cui Hegel darà la sistemazione teorica più concisa e universale: «Tutto ciò che è reale è razionale».

Socrate il laconizzante scende dunque nella piazza, imitando i sofisti nella tecnica dialettica, per difendere un principio che è stato leso, una verità che non è più comunemente accettata in silenzio concorde.

Sintomatica è la sua tecnica: più che parlare, fa domande. 

E le sue domande mirano a indurre gli interlocutori ad ammettere che si, dopotutto, la giustizia non può essere ridotta alla convenienza di chi comanda, che la forza non è identica alla giustizia, che la giustizia – ancorché in questo mondo empirico non appaia se non debolmente, episodicamente – è tuttavia più reale della forza e dell’utile del più forte, tanto che l’uomo autentico con se stesso è obbligato a riconoscerle una superiorità senza compromessi.

Ma com’è noto, Socrate si contenta di portare gli altri ad ammettere che la giustizia «non» è questo, non è quello, non è quell’altro; non dà mai una sua definizione del «giusto».

Si rifiuta di fornire una formula, e non solo per il buon motivo che occorre difendere la Verità sottraendola alla presa della dialettica, la quale è apparsa ormai nel mondo come tecnica precipua di ritorcere gli enunciati nel loro contrario.

Nel senso più profondo, Socrate non fa che scandagliare i confini di un silenzio che contiene la verità, a cui egli attinge, e insegna ad attingere, al di là del discorso.

Come spiegare che questo silenzio olimpico da cui Socrate e Platone traggono le loro parole inesauribili è precisamente il silenzio di Sparta?
Il punto è questo. 

Anche nella Grecia di prima dei sofisti la conoscenza è chiamata invariabilmente un «vedere», rispetto al quale le conoscenze che si ottengono con tecniche discorsive, il dibattito, non sono che mutevoli e leggere opinioni: come nei prati televisivi dementi di oggi, la chiacchiera sviante dei sofisti. 

La «visione» come conoscenza suprema era, aggiungiamo, il corrispettivo di un essere prerogativa di un tipo umano (non di chiunque testa di cazzo che passava per caso da quelle parti) che per di più è capace di trasfigurazione.

Alludiamo qui all’iniziazione, ai «misteri» di Eleusi a cui accedevano i nobili ateniesi. In essi, testimonia Ippolito, si mostrava «a coloro che erano ammessi al grado supremo il grande e mirabile e perfettissimo mistero di visione: la spiga di grano mietuta in silenzio» : e Platone si riferisce di continuo a ciò che simboleggia questa enigmatica «spiga di grano», al punto che s’è potuto sospettare che »la teoria delle idee (platoniche) fosse un tentativo di divulgazione letteraria dei misteri eleusini» – e su cui l’adepto doveva mantenere il silenzio.

Ancor più, alludiamo all’oracolo di Delfi: il centro sacro ad Apollo Luminoso, cosi intimamente legato all’arcaica cultura dorica – di cui Sparta rimase gelosa custode, mentre gli altri mutavano – che «Licurgo» , per il volgo il legislatore originario, il padre dell’ordine politico spartiate, era in realtà il nome di un grado sacerdotale spartane soggetto a Delfi.

Cominciamo a capire in qual senso profondo, extra-politico, Socrate e Platone fossero filo-spartani? 

Perché traevano le loro parole da quel silenzio che custodiva Sparta: lungi dall’essere una caserma, la città senza mura era un ordine sacro e militare i cui individui – asceticamente rinunciando a sé, prendendo il pasto comune, portando le armi come doveva aver fatto la banda originaria degli «eguali», degli etairi indoeuropei alla conquista di nuove terre – si mantenevano «originali», vicini all’origine e fedeli alla certezza che viene dalla «visione», alla cultura che è anteriore alla dialettica: quella che coltiva «la spiga mietuta in silenzio».

Che l’ordine di Sparta fosse incentrato sull’addestramento militare significa due cose: indicava che la conoscenza non si ottiene con le acutezze volatili della mente, ma lo sviluppo dell’essere, del carattere ; e che la verità che non può essere detta va difesa con la forza contro il caos che vuol cancellarla.

Anzi questo è l’unico uso legittimo della forza.

La forza che impone il silenzio al rumore di fondo – e finché durò, la «visione» non fu del tutto obliata nei cuori degli uomini.

Non abbiamo evocato due archetipi perenni. Sparta e Atene sono. In ogni tempo la cultura è sofistica oppure è platonica. E se oggi dilagano la cronaca, l’attualità, il pettegolezzo, il chiacchiericcio impotente, vorremmo che le nostre parole non fossero una semplice aggiunta al rumore di fondo che cela, o intorbida, ogni certezza.

Abbiamo sempre cercato parole che diradano la nebbia in cui il caos delle opinioni ci fa vivere, che mettano in luce i duri poteri che il rumore dialettico e giornalistico ci nasconde.
Parole che non rispettano gli idoli del foro perché s’appoggiano, senza dirlo, a un silenzio forte

 

4 commenti:

  1. Parole che fanno riflettere e dare lo slancio giusto a chiunque possa farsene sue! Il Popolo ha Bisogno di un Idolo che nessuno può permettersi di fare, visto le tecnologie messe in campo dagl’invasori di questa Terra. Grazie Wladi per tutti questi anni d’informazione e Conoscienza che mi e ci hai dato. Dai sumeri algi elohim, Sitch al mondo Tartarico. Un Grazie Sincero! Enzo-Vincenzo-Casole d’Elsa.

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  2. Grazie a te Vincenzo della graditissima visita e dell'apprendimento.
    Un caro saluto;
    wlady

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  3. Errata corrige Vincenzo, chiedo scusa ma il correttore automatico ha sbagliato: il mio intento era scrivere grazie dell'apprezzamento, non "apprendimento"
    wlady

    RispondiElimina

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