Pubblicato: 18 Agosto 2015
Scritto da Cristina Bassi
Se è necessario prendere tutte queste precauzione dall'esterno...che succederà mai quando entra nel corpo? Una bruciatura e una ferita [vedi immagine sotto]: questo il risultato di una perdita di chemioterapia sulla mano nuda.
Come non sorprendersi se le persone sono preoccupate di ciò che potrebbe capitare dentro i loro corpi quando la chemioterapia viene iniettata per endovena? Come non sorprendersi se le infermiere e gli infermieri indossano guanti protettivi? Ma anche perché sorprendersi se una percentuale così alta di oncologi si rifiuta di sottoporsi ai trattamenti che caldeggiano invece per i loro pazienti?
Il paziente ha tutto il diritto di preoccuparsi sul danno che avviene dentro il suo corpo, mentre le viene somministrata per endovena una dose di chemioterapia. Qui potete trovare altre informazioni ed immagini:
ANDARE IMMEDIATAMENTE NEL REPARTO DI EMERGENZA
Le informazioni che seguono sono apprese da un sito web di un college medico, specializzato nel trapianto di midollo spinale, accompagnato da un "supporto" di chemioterapia. Questo testo particolare discute delle procedure in loco che devono essere eseguite, sia con l'abbigliamento che con conseguente apparato, quando si verifica una perdita di chemioterapia.
Nella immagine che apre questo articolo, si nota una infermiera che indossa un abbigliamento protettivo come da regolamento, per gestire una simile perdita.
“Tessuti, tamponi, garze e simili che sono contaminati, i guanti esterni e i copri-scarpe, vengono messi nel primo sacco rifiuti chemio, che viene poi chiuso e annodato e collocato in un secondo sacco rifiuti. Il restante abbigliamento protettivo e i guanti restanti, sono collocati nel secondo sacco rifiuti chemio.
Una volta rimossi, gli occhialini protettivi possono essere riciclati e vengono messi in un sacco, separatamente, con chiusura a cerniera e mandati in farmacia con il kit relativo alla chemio con perdite.
I sacchi di rifiuti chemio, devono essere sigillati in sicurezza e depositati in containers relativi a rifiuti con pericoli biologici. Dopo ogni caso del genere , di perdite di chemioterapia, occorre poi compilare un rapporto di “incidente medico”'.
Se la pelle entra in contatto con la medicina, bisogna procedere come segue:
• rimuovere i guanti e l'abbigliamento protettivo
• risciacquare molto accuratamente l'area contaminata, con acqua calda
• lavare accuratamente con sapone e sciacquare di nuovo con acqua calda.
• se la pelle non si è lacerata, avvolgere con accuratezza l'area colpita, con delle garza satura di candeggina diluita allo 0,05% e sciacquare con acqua calda.
• se la pelle invece si è lacerata, usare acqua ossigenata al 3% e lavar via poi con acqua calda
- Annotare la medicina o le medicine con cui si è entrati in contatto, poiché ci potrebbe essere un antidoto specifico.
Ecco questo è ciò che viene pompato nel paziente che si sottopone a trattamento convenzionale. La natura tossica della chemioterapia è tale che molti medici non vi ripongono alcuna fiducia.
La più parte dei pazienti malati di cancro in questo paese, muore di chemioterapia.
La chemioterapia non elimina cancri al seno, al colon o ai polmoni. Questo fatto è stato documentato per oltre un decennio, tuttavia i medici usano ancora la chemioterapia per questi tumori – dr Allen Levin, MD UCSF The Healing of Cancer
Se contraessi il cancro, non andrei mai in un centro oncologico, per il trattamento standard. I pazienti di cancro che vivono lontani da questi centri, hanno più possibilità di vita. Professor Charles Mathe, specialista oncologo francese.
Per quanto ancora possiamo continuare ad autorizzare la chemioterapia come trattamento cruciale contro il cancro?
FULL STORY HERE
fonte: http://www.cancertutor.com/chemospill/
traduzione Cristina Bassi per www.thelivingspirits.net
La mia storia: una storia d'amore durata quarant'anni.
Mia moglie (55 anni) è deceduta nel 2006 dopo quattro anni per un oligodendroglioma di secondo grado (un tumore celebrale infiltrante come un blob che si annidava tra i gangli del cervello), chemio e radioterapia sono state le cure; oltre ai soliti flebo di chemio aveva anche delle capsule che doveva prendere a casa per cinque giorni dopo l'infusione della flebo fatta in ospedale. Queste capsule (date solamente dalla farmacia dell'ospedale) riportavano questa dicitura nel bugiardino: "può fare insorgere il cancro, il prodotto deve essere solo ad esclusivo uso e manipolato dal paziente, perché sprigiona raggi X, tenere in un posto chiuso e lontano da tutti, ecc. ecc." Per la "radioterapia", ne parlo più avanti.
Non ho mai voluto parlare di questo fatto che ancora oggi dopo nove anni mi fa male, ho letto questo articolo scritto da Cristina Bassi e mi son fatto coraggio per documentare un calvario di dolore durato "quasi" cinque anni. Ancora oggi ripercorro con la mente tutti i passaggi di questa mia tragedia che mi ha lasciato solo, ripromettendomi di documentarla in tutti i particolari, (come ho fatto nella vicenda che mi ha riguardato personalmente QUI uno degli articoli più letti nel mio blog ma, questo è stato più facile mi apparteneva personalmente) troppo dolore mi ha impedito di accennarne solo anche piccoli particolari nelle vicissitudini di mia moglie Lory.
Ora ci provo ...
Era una bella e soleggiata domenica della primavera 2001, ci eravamo appena alzati io e mia moglie e dopo la prima colazione, l'ho vista seduta sul divano con la testa tra le mani, pensavo si stesse sfregando gli occhi come si fa quando ci si è appena svegliati, ma non era così la cosa si prolungava e allora preoccupato dissi: Lory hai mal di testa? Non mi rispose e mi fece cenno con la mano come 'lasciami stare un momento' ... la lasciai stare e preoccupato aspettai un suo cenno.
Quando si riprese mi spiegò che un'energia che saliva dal basso ventre si irradiava allo sterno salendo su nella trachea per finire alla testa lasciandole in bocca un sapore metallico e completamente priva di forza, spossata. Queste crisi si sono ripetute nei giorni successivi e sempre con la stessa intensità ravvicinate sempre più nel tempo. Non indugiammo oltre e prontamente siamo andati in un noto ospedale per patologie neurologiche.
La dottoressa che ha fatto la prima visita, sembrava già conoscesse il tipo di patologia che aveva colpito mia moglie ma, per assicurarsi ancor meglio ci indirizzò dal primario dello stesso ospedale nel suo studio privato, che a sua volta ordinò una risonanza magnetica con liquido di contrasto. La diagnosi tomografica, non lasciava dubbi, lesione di secondo grado
(il massimo è quattro) di oligodendroglioma, un tumore infiltrante ("blob") nei gangli del cervello che si confondeva con la materia grigia. Per limitare le crisi le fu ordinato un farmaco (Dintoina), non era la soluzione, ma almeno conteneva il malessere. Le crisi si fecero sempre più rare, e dopo sei mesi (consigliato dal medico) fu rifatta la risonanza magnetica; la lesione purtroppo si era estesa creando all'interno della scatola cranica un edema che insieme alla lesione premevano sui ricettori all'interno del cervello, i quali potevano a lungo andare inficiare gli arti, gli occhi e anche la parola.
Non restava molto tempo, bisognava prendere una decisione sul da farsi; ci rivolgemmo (con tutti gli esami fatti) ad un ospedale che al suo interno aveva un reparto molto avanzato di microchirurgia-neurologica (stereotassica). Il primario di questo reparto era specializzato in problemi di epilessia e, una lesione del tipo che ha colpito mia moglie non si differenziava troppo da quello che tutti i giorni praticavano in sala operatoria, sala operatoria completamente buia con solo i monitor da dove i chirurghi operavano.
Una decisione molto sofferta da dover prendere; mia moglie (molto coraggiosa) non aveva dubbi, per non rimanere offesa in qualche parte del corpo come una paralisi, non più cosciente o perdita della vista, confortata dal primario e dall'equipe medica prese la decisione di operarsi ma, solo dopo il matrimonio di nostro figlio e del battesimo del piccolo nipote che è nato a giugno del 2001. Così siamo andati in Germania al matrimonio/battesimo, mia moglie contenta di aver visto il suo nipotino, poteva ora operarsi...
L'operazione è durata nove ore, è andato tutto bene tranne una fastidiosa diplopia che nei giorni successivi è regredita, nessun organo del corpo è stato inficiato dall'operazione; dopo un giorno di stanza intensiva è stata portata al reparto dove in tre giorni ha fatto un incredibile recupero, si è alzata e con grande impeto si tolse il pannolone deambulando fino al bagno ferma sulle sue gambe.
Dimessa dall'ospedale una settimana dopo, ci si è dati un appuntamento per una successiva risonanza magnetica a sei mesi; intanto, le cure imposte dai medici sono state ancora Dintoina e cortisone per fare regredire l'edema post-operatorio. La grande sfida consigliata dai medici chirurghi era quella di rivolgersi ad un istituto ospedaliero specializzato nelle cure post-operatorie, per iniziare un ciclo di chemioterapia che in quel ospedale non venivano praticate.
Questa decisione è stata molto combattuta, nonostante i protocolli canonici, io e mio figlio eravamo molto restii a queste cure virulente ma, mia moglie non aveva dubbi, la paura di rimanere invalida e/o non più mentalmente presente decise per la cura chemioterapica.
Nessuna intenzione da parte mia e mio figlio di usare il plagio per convincerla a non fare la cura, l'abbiamo lasciato libera di gestire la vita che le apparteneva.
Ogni sei mesi veniva fatta una RM e, ogni volta la lesione e l'edema avanzava, non regrediva e, ogni volta venivano (come da protocollo) consigliati cicli di chemio che mia moglie accettava di fare. Il suo corpo deperiva ogni giorno, le sue difese immunitarie erano ridotte al lumicino oltre a perdere peso, inappetenza, stanchezza cronica, debolezza diffusa le impedivano di vivere una vita accettabile.
La lesione non accennava a regredire e non era più possibile continuare con la chemioterapia, i medici oncologici, consigliarono allora la radioterapia, dove nella liberatoria informativa (che mia moglie doveva firmare) c'era scritto che nessuna responsabilità era da imputare agli operatori (che precedentemente ci hanno informato) che i cicli delle radiazioni fatte in loco sulla testa non avrebbero eliminato la lesione ma l'avrebbe solo necrotizzata e che non era diverso dal tumore presente.
Nessuna regressione della lesione si evidenziava nelle successive RM, anzi l'edema interno era cresciuto e comprimeva la fronte occipitale sinistra dove era stata fatta la resezione del tumore; un ulteriore ciclo di chemio è stato ancora intentato ma senza successo.
Quell'estate 2005, come tutti gli anni, siamo andati sul lago nella villa del nostro carissimo amico, mia moglie ormai provata e gonfia per via del cortisone, sembrava ristorarsi dalle lunghe terapie subite in quattro anni, ma la vedevo triste e ormai rassegnata a qualcosa di ... che ancora non capivo.
Sempre vestita con il suo pigiama in casa e, non avendola avvicinata mai per rispetto alla sua malattia, un giorno a casa, appena tornati dal lago mi mostrò il suo corpo dove all'interno di una coscia aveva una grossa protuberanza color violaceo, sul fianco sinistro appena sopra il gluteo, una ancor più grossa protuberanza che sporgeva di cinque centimetri per cinque, sotto il braccio destro all'interno del muscolo un'altra protuberanza, così sul fondo della schiena all'inizio della vita.
Ci siamo subito rivolti dove abbiamo fatto le terapie e dove il primario l'aveva in cura, abbiamo mostrato tutte quelle lesioni anomale che aveva sul corpo. Il primario è rimasto basito a quella visione e non sapeva capacitarsi di tali lesioni e non sapendo cosa fare ci ha inviato da un dermatologo. Con stupore il dermatologo ha riconosciuto subito tali lesioni come sarcomi e/o metastasi e ancora più stupito che un primario che si occupava di tumori ci avesse inviato da lui.
Il ricovero in ospedale era inevitabile (mia moglie c'è entrata con le sue gambe). la diagnosi e prognosi è stata crudelmente scioccante da parte del primario dell'oncologia: "massimo quattro settimane di vita" e, così precisa è stata, entrata il 24 novembre 2006 è mancata il 23 dicembre dello stesso anno, alla VIDAS, non potendo più essere gestita ne a casa e nemmeno in ospedale perché non c'era più nulla da fare, dove io e mio figlio siamo stati con lei tutto il tempo che gli rimaneva.
Mi fermo qui, quelle quattro settimane fanno parte della mia intimità e, non avrei parole per poterle scrivere, troppo dolore ancora mi pervade pensando ad allora, così ancora presente nella mia mente...
Questa mia testimonianza, è parte del mio vissuto e in nessun caso vuole essere una critica alla sanità e ai suoi protocolli, ci sono persone che con le stesse terapie sono guarite, hanno visto regredire la loro lesione, così come tante persone hanno avuto meno fortuna; rimane il fatto se ne valga la pena soffrire così tanto per dei protocolli (anche se rivisti e corretti), e se veramente ci siano solo queste cure, che tanti medici consigliano ai loro pazienti ma non farebbero mai loro
Un grande ringraziamento a Cristina Bassi, che con l'articolo in testa e pubblicato nel suo blog, mi ha dato il coraggio di scrivere di mia moglie Lory, mancata nove anni fa ma, che mi sono sempre proposto di scrivere per non dimenticare la donna con cui ho vissuto un grande amore per quarant'anni.
wlady
Buona notte caro wlady. È un dolore ancora vivo nel tuo cuore quello di tua moglie e credo che tu abbia fatto bene a parlarne. Un abbraccio forte. Ciao
RispondiEliminaCiao Gianni,
RispondiEliminaEra da un po' che non ti leggevo, grazie per la gradita visita e sensibilità
Un abbraccio
Wlady
Un grande abbraccio Wlady, hai avuto un gran coraggio a scrivere la tua esperienza, ti sono vicino.
RispondiEliminaCiao Zak,
RispondiEliminaricambio il gradito abbraccko ...
con lacrime agli occhi ti abbraccio forte...
RispondiEliminagrazie di avercelo raccontato
Ciao Vaturu,
EliminaGrazie a te della gradita visita,
Un abbraccio
Wlady caro amico, che dire... mi hai invitato a leggerlo e l'ho fatto, solo che ora non so se prevalga in me lo schifo o la rabbia, in quanto non posso crede che l'uomo pensi di poter avventurarsi nell'ignoto dell'universo e poi allo stesso tempo non sappia porre rimedio ai mali che lo affliggono, quando i soli soldi guadagnati con queste pratiche mediche negli anni, hanno portati loro tanti di quei soldi che si potrebbe pagare il mondo zolla per zolla, roccia per roccia e bearsi di acqua che pur salata bagna comunque e vorrebbero dirci che non sono capaci di apportare cure a malati oncologici? Da qui mi silenzio, anche perché è la rabbia quella che si sta alzando prepotentemente ora e non voglio che questa ti causi problemi...
RispondiEliminaCarissimo, son contento di aver condiviso questo mia disperazione che tutti i giorni mi accompagna; ogni persona trova la giusta dimensione in tante cose, la mia mi ha portato a scrivere e impostare questo blog, per molti anni mi son distratto così, con il mio psicologo, la sigaretta.
EliminaLa rabbia ormai mi ha abbandonato da molto tempo, dopo la mrte di mio figlio, morto a solei '43 anni non ho più avuto voglia di reagire.
Come vedi credo che ormai non ci sia più nessuna causa che mi possa creare problemi, sono andato giù fino n fondo nella tana del coniglio e comprendo io più di altri la tragedia che ha coinvolto il nostro comune amico Lino e consorte.
Un caro abbraccio Amico mio.
wlady
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