venerdì 13 luglio 2018

Castaeneda alla scuola degli stregoni brujos

 
L’ultima intervista di Carlos Castaneda    

di Cesare Medail, giornalista del Corriere della Sera e autore del libro “Le Piccole Porte” edito da Corbaccio (fuori catalogo)

“Los Angeles. Che fine ha fatto Castaneda? Perché è sparito? E’ prigioniero? Si è suicidato? E’ morto vent’anni fa su un pullman messicano? Sono veramente suoi gli ultimi libri? Queste e altre fantasie sono fiorite attorno all’antropologo di origine peruviana divenuto scrittore di culto attorno al ’68, dopo aver raccontato i propri anni di full immersion nella stregoneria messicana; un mistero alimentato dalla sua effettiva sparizione dalla pubblica scena, oltre che dall’ assenza di foto (salvo una che lo ritrae studente) e di registrazioni audio e video.

Carlos Castaneda, settantadue anni, si è materializzato sulla porta di un piccolo ristorante francese, il Moustache Café di Westwood, il volto seminascosto da un berretto nero ben calcato in fronte. Dopo un mese di fax e telefonate con i suoi agenti, rinvii e un contrordine dell’ultima ora, Castaneda era lì, il 12 novembre 1997, per concedere una delle rarissime interviste della sua vita al riparo dei mass media, la prima, dopo decenni, a un giornale europeo. Non alto, asciutto, carnagione bruna, capelli grigi e lisci, un po’ arruffati, occhi scuri in moto perpetuo, volto capace di modulare espressioni più varie come i comici del muto.

Stiamo a tavola quattro ore, lui quasi non mangia ma si produce in un crescendo di umorismo e filosofia, parole di saggezza e scherzi con le due compagne, Talia Bey, presidente di Cleargreen, società che cura le iniziative che lo riguardano, e Florinda Donner, una delle tre antropologhe che lo hanno seguito nelle esperienze vissute tra i brujos, gli stregoni del Messico.

Mentre cercava una via di fuga dall’America opulenta, la cultura alternativa, uscita dalle ceneri della protesta degli anni Sessanta, fu stregata dai suoi racconti. Nel 1973, Time gli dedicò la copertina. La gloria durò fino alle metà degli anni Settanta, quando scattò una campagna di denigrazione accademica a colpi di saggi dove il suo nome era inesorabilmente accompagnato dal termine hoax, truffatore…

Ma che cosa avevano di eversivo quei libri venduti a milioni di copie? Trasmettevano un sapere che sgretolava la compattezza del mondo empirico: don Juan Matus, lo stregone del deserto di Sonora incontrato alla stazione degli autobus di Nogales (Arizona) divenuto un mito letterario, gli impartì un tirocinio di tredici anni prima usando la droga, poi semplici gesti per fargli sperimentare quei livelli di realtà che presto divennero un miraggio per chiunque in America coltivasse gli “stati alterati di coscienza”. L’anatema accademico non fermò l’uscita dei suoi libri, ma di lui si persero le tracce.

“Non sono affatto sparito” protesta Castaneda. “Solo che per molti anni non c’era modo di contattarmi, dato che ero a coltivare giardini sulle montagne del Guatemala, una terra dalle tradizioni vicine ai brujos messicani”. Certo in quegli anni Castaneda non si limitò a fare giardinaggio ma approfondì le tecniche di quegli stregoni che non sapevano ben maneggiare l’enormità delle conoscenze ereditate nei secoli. In segreto. Castaneda in quegli ultimi anni cercò di divulgare gli straordinari insegnamenti che aveva appreso prima che andassero perduti per sempre… Qual’era l’intento dei brujos? “L’intento, lo scopo ultimo – continua Castaneda – è la libertà che si raggiunge tramite la consapevolezza dell’essere: non è solo questione di benessere psicofisico.

Per i brujos, noi siamo come una città assediata da un Predatore molto speciale che fa parte dell’universo: è una forza invisibile che loro riescono a vedere fisicamente, mentre divora la nostre energia. Il Predatore ci toglie la consapevolezza di essere tutt’uno col fluire dell’universo: e ci lascia in balia dell’Ego, prigionieri dell’egomania e per questo infelici. Ridistribuendo l’energia bloccata con i giusti movimenti, i passi magici possono fermare il Predatore, favorendo la crescita della consapevolezza e l’espandersi della percezione. E’ a questo punto che i praticanti sono in grado di accedere a mondi inimmaginabili”.

Ma quei mondi sono reali o si tratta di una finzione letteraria, o di un prodotto del subcosciente stimolato dalle pratiche dei brujos e dalle droghe?

“Alla scuola degli stregoni ho avuto percezione di mondi concreti e pericolosi, talmente concreti che ti attraggono e talora non ti fanno uscire, Sono certo che non sono prodotti dalla psiche perché, in tali esperienze, le situazioni si possono fissare, ripetere in modo sempre identico: al contrario le visioni indotte dal subcosciente sono cangianti, mutano di continuo. In quanto alle droghe, don Juan me ne ha propinate molte, e fortissime. Per questo ho lo stomaco ridotto così male: prendo un goccio di caffè, che già mi sento in colpa! Allora ero prigioniero del buon senso, quadrato, testardo, perché mi avevano educato persone vecchie di mente, piene di pregiudizi, paurose del nuovo. Le droghe di don Juan hanno scardinato questo mondo: per entrare nel suo bisogna essere fluidi, senza idee precostituite e soprattutto senza paura dell’ignoto. Poi non c’è stato più bisogno di mescalito”.

Certo, le esperienze che Castaneda aveva tentato di trasmettere non erano, a suo dire, riconducibili ad alcuna categoria del mondo civilizzato; potevano risultare incomprensibili, ma certamente minavano la fede nel mondo visibile come unica possibilità dell’essere, la fede nella “fasciatura aderentissima che ci stringe vietandoci di percepire i soffi di realtà diverse e maggiori”, come scrive Zolla nel saggio Il letterato e lo sciamano. Ma proprio qui stava il punto, il nodo irrisolto dei racconti castanediani come di tutta la letteratura visionaria. I mondi visitati e descritti da Carlos erano concreti, reali oppure soltanto il prodotto di uno stato allucinatorio, favorito prima dall’uso di droghe e poi dalle pratiche dei brujos? La questione poteva riguardare la sua iniziazione nei deserti messicani così come le esperienze dei mistici, dei veggenti, dei grandi sognatori d’ogni tempo. Di fronte ai miei dubbi, Castaneda mi parlò di Tonal e Nagual, spiegando che il primo corrispondeva alla realtà fisica coma la conosciamo, mentre il secondo è l’”altra possibilità dell’essere”, sperimentabile solo da chi impara a vedere “oltre l’apparenza”.

A questo punto provai a insistere sull’”altra possibilità dell’essere” (l’intervista era finita ma lui mi sollecitava: “Chiedi, chiedi non so se sarò ancora qui quando tornerai”; sarebbe morto sei mesi dopo). In altre parole gli domandai: che cosa si intravede dalla porticina della visione, aperta nel grande portone del mondo ordinario? Castaneda mi rispose che i brujos potevano vedere gli uomini come conglomerati di energia, come una sorta di sfere tenute insieme da filamenti luminosi che le attraversano e si diramano all’infinito. In ciascuna sfera essi vedono energia rafferma, inutilizzata, che riescono a sbloccare, a ridistribuire nel corpo, attraverso pratiche molto semplici, magari con un colpetto in un punto particolare, sulla scapola del discepolo. 

L’allievo dello stregone insisteva sull’unicità dell’insegnamento dei Nagual, che non sarebbe comparabile in nulla alle tradizioni religiose o alle scuole iniziatiche d’Oriente e d’Occidente. Io stesso percepivo quei discorsi come alieni. Tuttavia quelle ”uova” luminose, poco a poco, mi diventavano familiari: pensavo alle mandorle di luce nelle quali i pittori racchiudevano i santi, alle sfere di Bosch, alle aure fiammeggianti di certi bodhisattva o di figure sacre dell’induismo.

La suggestione di quei discorsi mi spinse ad andare oltre, a chiedere per esempio che cosa si aspetta un Nagual dopo la fine del corpo. In particolare pensavo all’episodio del “salto nell’abisso” che più di ogni altro fa a pugni con la ragione nella saga di Castaneda. Don Juan si getta in un burrone e scompare, almeno dal nostro piano di realtà; ma la prova decisiva per diventare Nagual esige che anche Carlos, con tre discepoli, vi si lanci. Ciò avviene senza che si sfracellino: la violazione dell’ordine naturale è palese. In proposito Zolla cita l’ascesa di San Paolo al Terzo Cielo: “Fu col corpo? O non con il corpo? Non lo so si chiese l’apostolo”; e Castaneda gli fa eco:

“Saltammo con il corpo o con l’immaginazione allucinata nel vortice dell’energia pura? Non lo sappiamo”. Carlos non ha una risposta ma ricorda che da quell’esperienza uscì radicalmente mutato quanto a percezione sottile, capacità visionaria e potere di interagire con la materia delle visioni. D’altra parte, nessun mistico dispone delle parole necessarie a descrivere l’indicibile dell’esperienza estatica. Alla domanda su che cosa aspettasse gli stregoni dopo la morte, Castaneda scoppiò in una risata accusandomi di usare la mia logica per un sistema assolutamente prelogico. Ma io insistevo: che fine ha fatto don Juan? Il suo tono cambiò e si fece per una volta grave:

“Alla fine della vita i corpi degli stregoni bruciano dall’interno prima di sparire come un soffio d’aria e trasformarsi in energia pura dotata di consapevolezza”.

In fondo, mi dissi, si tratta del cambiamento di stato di un essere che mantiene coscienza di sé oltre il trapasso: concetto della sopravvivenza alla morte non troppo diverso da quanto concepito da filosofi, teologi, religiosi di ogni tempo e cultura. Ma “dopo”, domandai, che cosa avviene di quell’energia consapevole nella quale il corpo si trasforma e che sopravvive a esso? E Carlos:

”Alla fine della vita non ci aspettano né paradisi né inferni, né reincarnazione, né nirvana. Il vero premio è continuare la lotta per acquisire sempre maggiore consapevolezza in altri livelli di realtà, concreti, dove si può nascere, vivere e morire; e dove il corpo, nella sua nuova forma, è atteso da nuove sfide e non sfide: La lotta continua: ed è una visione tremendamente congrua con le moderne teorie sulla natura dell’universo”.

Alle ultime parole Castaneda diede molta enfasi, battendo il pugno sul tavolo. L’idea di vari livelli di realtà (che don Juan paragona agli strati di una cipolla) può anche ricordare le molteplici dimensioni dell’universo (o multiverso) concepite dalla fisica moderna; ma soprattutto ricorda quanti in Occidente hanno ipotizzato vari gradi o livelli dell’essere, da Giordano Bruno alla purificazione attraverso esistenze successive (sulla terra ma anche in mondi superiori) degli orientali. L’uomo-mago di Bruno non è in balia della natura mutante ma può padroneggiarla per elevarsi e salire, attraverso un lungo e aspro processo di purificazione, i diversi piani dell’essere. Non troppo diverso da don Juan.

Quando lasciammo il Moustache Café, Carlos mi parve molto più vicino di quanto facessero supporre l’estraneità dei suoi racconti alle nostre categorie mentali. Mi aveva aperto una porta su panorami inesorabilmente alieni ma poi, mano a mano che osservavo i particolari e scoprivo riferimenti familiari, avevo avuto l’impressione di ritrovarmi a casa, sia pure arricchito da prospettive e angoli di visuale sovvertiti rispetto alla mia geografia culturale.

Lo stesso Castaneda, nell’accompagnarmi in albergo, manifestava cordialità, mi parlava del film mai girato con Fellini e mi confidò di avere frequentato da ragazzo l’Accademia di Brera, quando era diretta dallo scultore Marino Marini, a due passi dalla mia casa a Milano.

Sulla porta dell’albergo mi abbracciò a lungo: forse sapeva che non ci saremmo più rivisti, in ogni caso avvertivo una commozione imprevista nel discepolo dello stregone. Ripensavo alle “infinite maschere di Dio” di cui parlava il romanziere cristiano Morris West e mi domandavo se almeno una di esse non fosse applicabile a quell’antica tradizione messicana. Ne sapevo troppo poco per rispondere. Sicuramente quelle ore mi avevano dato la possibilità di guardare al pensiero occidentale, alla stessa questione metafisica, al confronto fra culture e tradizioni, da un punto di vista assolutamente eccentrico rispetto alle mie conoscenze. Anche Castaneda era stato una risorsa; ne ero, e ne sono più che convinto.

Estratti dal libro “Le Piccole Porte” edito da Corbaccio (fuori catalogo) di Cesare Medail, giornalista del Corriere della Sera e ricercatore del sacro – tramite il sito di Giorgio Cerquetti, www.cerquetti.org  


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