sabato 10 maggio 2014

La pace nelle guerre dell'antichità


 
La pace e la fine della guerra di 10.000 anni fa
Tempo fa parlai della guerra della piramide, ma come andarono a finire le "guerre della piramide"?
Finirono come sono sempre finite le grandi guerre della storia: con una conferenza di pace, una riunione tra le diverse parti in lotta, proprio come avvenne al Congresso di Vienna (1814-1815), che ridisegnò la carta geografica dell'Europa dopo le guerre napoleoniche, o alla Conferenza di Pace di Parigi che pose fine alla prima guerra mondiale (1914-1918) con il Trattato di Versailles.
Il primo indizio che fa pensare a una riunione di questo ge­nere tra gli Anunnaki in guerra - una riunione che sarebbe avvenuta all'incirca 10.000 anni fa - viene da un testo che George A. Barton trovò inciso sul frammento di un cilindro d'argilla. Si tratta della versione accadica di un testo sumerico molto più antico, e Barton concluse che il sigillo era stato po­sto dal sovrano accadico Naram-Sin intorno al 2300 a.C, quan­do il re aveva fatto riparare la piattaforma del tempio di Enlil a Nippur. Mettendo a confronto il testo mesopotamico con i te­sti composti più o meno nello stesso periodo dai faraoni egizi, Barton notò che i testi egizi «erano incentrati sulla figura del re e riguardavano in modo particolare le sue vicende dopo che egli era entrato a far parte del novero degli dèi»; il testo meso­potamico, invece, «riguardava prevalentemente la comunità de­gli dèi»; in sostanza, esso trattava non tanto delle aspirazioni del re, ma degli affari degli stessi dèi.
 
Nonostante le lacune del testo, specie nella parte iniziale, si ca­pisce chiaramente che i principali dèi si radunarono al termine di una guerra violenta e rovinosa, e che si riunirono nell'Harsag, la montagna del Sinai dove abitava Ninharsag, la quale svolse 
 
Appunto il ruolo di artefice della pace. L'autore del testo, tuttavia, non tratta affatto Ninharsag come una dea neutrale: al contrario, più volte la cita con l'appellativo di Tsìr ("Serpente"), il che, al di là della connotazione negativa del termine, la pone dalla parte delle divinità egizie (quelle legate a Enki). I primi versi del testo, come abbiamo già visto, descrivono in modo alquanto conciso le ultime fasi della guerra e le condizioni in cui si trovavano i difen­sori della piramide, assediati all'interno di essa, costretti a innal­zare il grido d'aiuto che aveva portato Ninharsag a decidere di in­tervenire. Dal seguito della cronaca apprendiamo che Ninharsag andò anzitutto all'accampamento di Enlil a proporre la sua idea di fermare il combattimento e convocare una conferenza di pace.

La prima reazione dei seguaci di Enlil fu un atto d'accusa nei confronti di Ninharsag: in questo modo essa portava aiuto e van­taggio ai «demoni». Ninharsag rigettò l'accusa: «La mia casa è pura», rispose. Ma un dio la cui identità non è chiara la apostrofò sarcasticamente: «Si può dire che sia "pura" anche la Casa più al­ta e luminosa di tutte (la Grande Piramide)?»

«Di questo non posso parlare», rispose Ninharsag; «è Gibil che fa la guardia alla sua brillantezza.»

Dopo questo scambio di accuse e di spiegazioni, gli animi si calmarono e fu inscenata una simbolica cerimonia di perdono, una sorta di "battesimo" attuato con le acque del Tigri e dell'Eu-frate raccolte in due giare, che simboleggiava la rinnovata acco­glienza di Ninharsag in Mesopotamia. Enlil la toccò con il suo «fulgido scettro» e il «potere di lei non fu rovesciato».

Adad era contrario all'idea della conferenza di pace e che avrebbe preferi­to una resa incondizionata da parte del nemico. Fu Enlil ad ac­consentire alla proposta di Ninharsag: «Va', calma mio fratel­lo», le disse. Da un altro testo sappiamo poi che Ninharsag attraversò le linee di guerra per organizzare il cessate il fuoco, e che riuscì a portar fuori Enki e i suoi figli, conducendoli a casa sua, nell'Harsag. Gli dèi seguaci di Enki erano già lì, in attesa.

Ninharsag esordì affermando di agire per conto «del grande signore Anu ... l'Arbitro», e mise in atto un proprio cerimoniale simbolico. Accese sette candele, una per ciascuno degli dèi che partecipavano alla riunione: Enki e i suoi due figli, Enlil e i suoi tre figli (Ninurta, Adad e Sin). A ogni candela che accendeva, pronunciava una formula rituale: «Un'offerta di fuoco a Enlil di Nippur ... a Ninurta ... ad Adad ... a Enki che viene dall'Abzu ... a Nergal che viene da Meslam». Anche quando si fece notte il fuoco acceso dalla dea continuò a illuminare quel luogo come in pieno giorno. Quindi Ninharsag fece appello alla saggezza degli dèi ed esaltò le virtù della pace: «Potenti sono i frutti della sag­gezza del dio: il grande fiume divino tornerà alla sua vegetazione ... il suo corso renderà [la terra] simile a un giardino di dio». Parlò quindi dell'abbondanza di piante e animali, di grano e altri cereali, della vite e dei frutti, e dei benefici di un'umanità pronta a svolgere lavori di coltivazione e costruzione, oltre che a servire gli dèi: tutto questo la pace avrebbe portato con sé.

Quando Ninharsag ebbe finito di enumerare i benefici della pace, il primo a prendere la parola fu Enlil. «Togliamo l'afflizio­ne dalla faccia della Terra», disse a Enki; «solleviamo la Grande Arma». Quindi acconsentì al ritorno di Enki a Sumer: «L'E.DIN sarà il luogo della tua sacra casa», e avrà attorno terra sufficiente ad assicurare al tempio i frutti e il raccolto dei campi.

All'udire queste parole, Ninurta si oppose. «Niente affatto!», gridò il «principe di Enlil». Allora Ninharsag ricominciò dacca­po. Ricordò a Ninurta quanto egli aveva lavorato «giorno e notte con grande fatica» per rendere possibile la coltivazione dei cam­pi e l'allevamento del bestiame, per «costruire fondamenta, riem­pire [la terra], innalzare [dighe]». Poi la guerra rovinosa aveva di­strutto tutto. «Signore della vita, dio dei frutti», lo invocò, «fa' che la birra possa scorrere in doppia misura! Fa' che vi sia ab­bondanza di lana!». Accetta i termini della pace!

Commosso dalla sua preghiera, Ninurta si impietosì: «Madre mia, o fulgida! Non preoccuparti; non sarò io a far mancare il pa­ne ... nel regno verrà ripristinato il giardino ... Anch'io prego con fervore perché finiscano le afflizioni».

Ora finalmente i negoziati di pace potevano ricominciare. Il rac­conto di questo incontro senza precedenti tra le due divinità in guerra si trova nel testo Canto la canzone della madre degli dèi. Il primo a rivolgere la parola agli Anunnaki riuniti fu Enki:
Enki rivolse a Enlil parole di lode:

«O tu che sei il sommo tra i fratelli,

Toro del cielo, che tieni in mano il destino dell'umanità:

nelle mie terre non c'è che desolazione;

tutte le case sono piene di angoscia

a causa dei tuoi attacchi».


Il primo argomento in discussione era dunque la cessazione delle ostilità - la pace sulla Terra - ed Enlil fu subito d'accordo, a condizione che cessassero le dispute territoriali e che le terre che appartenevano di diritto alla stirpe di Enlil e al popolo della linea di Sem fossero prontamente liberate dai seguaci di Enki. Quest'ultimo acconsentì a cedere per sempre quei territori:
«A te concederò il dominio

nell'Area Riservata degli dèi;

alle tue mani affiderò il Luogo Radiante!»
Enki rinunciava dunque all'Area Riservata (la penisola del Si-nai con il suo porto spaziale) e al Luogo Radiante (il sito dove sorgeva il Centro di controllo della missione, la futura Gerusa­lemme) e cedeva per sempre a Enlil e alla sua stirpe il controllo di quelle terre e di quei luoghi di importanza vitale. Tuttavia po­neva una condizione: in cambio di tutto questo, doveva essere ri­conosciuta per sempre la sovranità sua e dei suoi discendenti sul complesso di Giza.
Enlil acconsenti, ma pose a sua volta una condizione: i figli di Enki che avevano attaccato guerra e avevano utilizzato la Grande Piramide per scopi bellici avrebbero dovuto per questo essere esclusi dal dominio su Giza e su tutto il Basso Egitto.

Enki ci pensò un po', poi accettò: signore di Giza e del Basso Egitto, annunciò, sarebbe stato uno dei suoi figli più giovani, spo­sato a una delle divinità femminili nate quando Enki aveva avuto rapporti sessuali con Ninharsag: «Per la grandiosa Casa costruita come un cumulo, egli nominò il principe la cui moglie era nata dalla coabitazione con Tsir [Ninharsag]. Il principe forte come uno stambecco - proprio quello egli nominò, e gli ordinò di fare la guardia al Luogo della Vita». Attribuì quindi al giovane dio il glorioso appellativo di NIN.GISH.ZI.DA ("Signore del manu­fatto della vita").



Chi era Ningishzidda? Le informazioni su di lui sono, secondo gli studiosi, scarne e contraddittorie. Egli viene citato nei testi mesopotamici in associazione con Enki, Dumuzi e Ninharsag; nell'elenco dei Grandi Dèi si trova tra gli dèi dell'Africa seguaci di Nergal ed Ereshkigal.

Nell'iconografia sumerica è rappresentato, come già Enki, con il simbolo dei due serpenti intrecciati e con il segno Ankh egizio (fig. a, b).


Eppure i Sumeri avevano un'idea positiva di Ningishzidda; Ninurta aveva fatto amicizia con lui e lo aveva invitato a Sumer. Alcuni testi fanno pensare che sua madre fosse Ereshkigal, la nipote di Enlil; la nostra conclusione è che si tratti effettiva­mente di un figlio di Enki, concepito durante il tempestoso viaggio di Enki ed Ereshkigal verso il Mondo Inferiore. Tp. quanto tale, poteva essere accettato da entrambe le parti come custode dei segreti delle piramidi. Un inno che Ake W. Sjòberg ed E. Bergmann {The Collection of thè Sumerian Temple Hymns) ritengono composto dalla figlia di Sargon di Akkad nel terzo millennio a.G. esalta la casa-piramide di Ningishzidda e ne conferma la localizzazione in Egitto:
Luogo eterno, montagna piena di luce
che da mani esperte fosti costruita.
La tua oscura camera nascosta è un luogo che incute timore;
essa si trova in un Campo di Controllo.
O maestosa, nessuno può esplorare le tue vie.
Nella Terra dello Scudo
il tuo piedistallo è compatto come una rete a maglie strette ...
Di notte stai di fronte al cielo,
le tue antiche misure sono sempre più alte.
Il tuo interno conosce il luogo dove Utu si alza,
la misura della sua ampiezza arriva lontano.
Il tuo principe è il principe che stende la sua mano pura,
al quale l'abbondante e folta capigliatura
scende fin sulle spalle -
il signore Ningishzida.

I nomi dei personaggi della millenaria storia sumerica
 

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