venerdì 18 novembre 2011

L’Anima: un ponte tra denso e sottile

Denso e sottile si trovano intimamente in contatto tra loro, complementari come la materia con l’antimateria, come la vita e la morte. Ma in che modo il corpo si unisce all’Anima, ossia in che modo il denso è connesso al sottile? Il corpo fisico è dunque Anima densificata, l’Anima è un corpo sottilizzato ed entrambi sono in sostanziale rapporto graduale con tutte le cose in modo unitario come l’iceberg che, nello stadio in cui si liquefa, diviene acqua ponendosi in rapporto unitario con il mare...

Il nostro modo di pensare moderno ci ha consegnato il concetto di personalità come capacità di spiccare sugli altri, di imporre le proprie idee. Così facendo siamo stati necessariamente indotti a separare ed allontanare il mondo circostante. Ma il concetto della nostra personalità così sorto in modo oggettivo e limitato non risponde a verità. E’ pacifico che la realtà del mio IO si estende, di fatto, dove arriva il mio stato di coscienza; ma essa sconfina, come sappiamo, anche oltre e cioè agli stati di incoscienza, come quelli onirici, di trance e via dicendo. Non solo. Il mio IO si diffonde pure nel mio corpo, ove avverte di essere presente fin nei minimi capillari sanguigni, fino alle ultime cellule. La recente scoperta della scienza epigenetica ci ha tolto gli ultimi dubbi sulla possibilità di trasmettere ai nostri discendenti anche i cambiamenti ambientali e climatici che viviamo, facendo in modo che il nostro algoritmo riproduttivo, il DNA, si attivi ad hoc in funzione delle modificazioni della realtà circostante.

E’ poi scientificamente provato che il mio corpo è saldato interamente a tutti gli altri corpi che lo circondano in un fluire incessante che mi fa estendere attraverso tutto l’universo, senza che nessuno possa ontologicamente separarsi da me e nel quale io esisto. La concezione di vuoto, come nulla del nulla, frattura insanabile tra gli oggetti e le energie, non regge più. Con la scoperta del fenomeno dell’entanglement abbiamo avuto la prova definitiva che qualsiasi particella atomica è collegata l’una con l’altra e questo fenomeno si può estendere anche al mondo macroscopico.

Il vuoto dunque è, al contrario del senso comune, pienezza di onde, di informazione, che talvolta emerge per sconfinare nel nostro mondo visibile. La nozione di esistenza va pertanto riconsiderata dalle fondamenta; ed anche quello di coscienza, che deve necessariamente abbracciare dimensioni a noi ignote. E va rivista dalle fondamenta anche la concezione di soffio vitale, di Anima che non deve essere più considerata distinta dagli stessi elementi costitutivi la materia.

Sappiamo per certo che la vita è venuta dagli spazi profondi, da immani esplosioni di stelle che, collassando, hanno scagliato nello spazio gli elementi necessari affinché diventassimo materia vivente che, grazie ad un meccanismo auto-organizzativo, ha prodotto frammenti cellulari in grado di replicarsi. Lo hanno dimostrato recentemente due ricercatori dell’Università di Hong Kong, Sun Kwok e Yong Zhang, dopo aver osservato stelle che, in diverse fasi della loro evoluzione, diventano autentiche fucine di molecole organiche complesse che poi immettono nello spazio interstellare.

Quando la nostra mente riesce a sintonizzarsi su frequenze compatibili con quelle presenti nel cosmo si vivono momenti di natura mistica e la coscienza può farsi strada ed allargarsi fino alle più lontane propaggini considerate impenetrabili. Ogni cosa collocata nell’universo è, di conseguenza, costitutiva della mia stessa realtà ed in essa mi ritrovo. 

Vi sono dunque diverse esperienze dell’IO a seconda della maggiore o minore vastità della coscienza. Certo è che l’esperienza corrente è quella di ritenere la persona un complesso ben individualizzato di pensieri, di attribuzioni, di emozioni, ire, gelosie ecc. e la scienza afferma con certezza che “ è convinzione precisa che esista un mondo esterno le cui proprietà sono ben definite ed indipendenti dall’osservatore che le percepisce”, come scrivono scienziati del calibro di Hawking e Mlodinow. In filosofia questa convinzione si chiama realismo.

Ma i recenti sviluppi della fisica iniziano a manifestare un progressivo incrinamento di questa concezione optando per la seguente ipotesi alternativa: il mondo che conosciamo, che sta là fuori, è costituito dalla mente umana usando come materiale grezzo i dati sensoriali ed è plasmato dalla struttura interpretativa del nostro cervello. 

Dunque entriamo in contrasto con la nostra idea quotidiana di Realtà. Lewontin, famoso genetista, ha detto che: “Non esiste un ambiente in qualche modo astratto ed indipendente: così come non c’è un organismo senza ambiente, così non c’è ambiente senza organismo. Gli organismi non esperiscono gli ambienti, ma li creano! Basta pensare all’uomo che crea il proprio ambiente con ospedali, case, strade, chiese, e tutto quello che volete aggiungere, anche l’inquinamento.

Tutto questo sistema-ambiente che l’uomo crea, permette a sua volta la vita dell’uomo stesso; c’è quindi una doppia creazione, l’uomo che crea l’ambiente e l’ambiente che permette la vita dell’uomo… Come il ragno che si costruisce la tela, ma poi è la tela che determina totalmente l’essenza del ragno”. Vale la pena anche di ricordare il profondo contributo dato da F. 

Varela, neuroscienziato ed ideatore del concetto di autopoiesi; nel suo libro The embodied mind ci ricorda che esiste una unità essenziale tra struttura organica e la mente, una complementarità che può arrivare fino al livello di coscienza: “Non ha infatti molto senso parlare di vita come noi la intendiamo, a livello umano, senza che ci sia una coscienza e non appena c’è una coscienza dovete avere un posto dove ospitarla. Le due cose non possono essere astratte e separate l’una dall’altra ma sono abbracciate”.

La mente crea la realtà
 
Nella scuola di Santiago, di Maturana e Varela, l’assunzione dell’equivalenza tra struttura organica e cognizione del processo della vita, ha tatto sì che il cervello non diventasse più necessario per spiegare o meglio giustificare l’atto di cognizione: i batteri e le piante non hanno un cervello, ma posseggono capacità cognitive anche se non in senso antropomorfo. 

Nel 1994 R. Penrose pubblica il libro Shadows of the Mind, discusso testo in cui afferma che il cervello elabora quantisticamente l’informazione grazie alla presenza di microscopiche molecole di tubulina situate all’interno dei neuroni. L’idea fondamentale di Penrose deriva dall’osservazione che anche gli organismi unicellulari hanno un comportamento finalizzato, reagiscono alla luce, evitano ostacoli, hanno una forma di memoria, pur senza avere neuroni. 

Se prima si pensava che il neurone fosse la condizione necessaria per un essere “intelligente” ora si scopre che l’intuizione di Varela sembra avere una dimostrazione: probabilmente l’elemento fondamentale dell’intelligenza cellulare è il microtubulo. Il paramecio e gli organismi unicellulari, la coda dello spermatozoo e via dicendo ripongono “l’intelligenza” nei microtuboli, una sorta di computer cellulare che trasmette forze fluttuanti mantenendo tutta la struttura vitale in equilibrio dinamico. Il microtubulo funziona quindi come un cavo intelligente autoadattativo. 

In questo caso la rete neurale del cervello è abbinata alla rete dei microtubuli e viceversa. Un gruppo di scienziati della Wayne State University sta simulando un computer molecolare basato su microtubuli, che apprende come una rete di Hopfield (è una classe di reti che riescono ad elaborare complesse informazioni) e si basa sulla natura oscillatoria dei suoi elementi. I processi che regolano la trasmissione dell’informazione seguono le leggi quantistiche secondo il cosiddetto effetto tunnel.

Dunque il concetto di persona, di entità fisica diventa instabile e relativo. Sotto il fluire delle nostre esperienze vi è una “sostanza” che lega tutte le cose come in un fascio, in una trama nascosta a noi invisibile. In altre parole la coscienza del sé sorge concatenandosi alle percezioni sensorie; solo se noi escludiamo queste percezioni, la personalità non sorge, ed avremo allora l’esatta misura del nulla, della illusorietà ed arbitrarietà nella nostra personalità. 

Colui che “ha Anima” ha dunque la capacità di cogliere, e perché no, di comprendere, l’esistenza di questi legami invisibili, di riconoscere la vastità nella quale è immersa la sua coscienza. La parola Anima assume pertanto un valore che travalica quello della psicoanalisi junghiana, acquisendo un’immagine particolarmente evoluta: quella di “principio”, che determina il movimento e la vita che per maturazione, divenendo cosciente del suo stesso movimento acquista qualcosa di più: il principio vitale che conosce.

Anima: rapporto tra denso e sottile
 
Vi è dunque una vastità dell’Anima e vi è altresì un suo rapporto reale, funzionale e vitale con tutte le cose, così da costruire una vasta unitarietà. Dunque possiamo affermare che ciò che sentiamo dentro di noi come spinta vitale, come soffio primordiale, opera nell’universo così come nelle ossa del nostro scheletro o nei muscoli della carne. Anima e materia si posso pertanto incontrare benissimo, superando quella frattura che da millenni accompagna l’uomo nella sua evoluzione; l’Anima può essere conosciuta dunque attraverso lo studio della materia, della sua evoluzione, della sua fine, non escludendo il rapporto del nostro pianeta, di noi stessi, con tutto il cosmo.

Denso e sottile si trovano intimamente in contatto tra loro, complementari come la materia con l’antimateria, come la vita e la morte. Ma in che modo il corpo si unisce all’Anima, ossia in che modo il denso è connesso al sottile?
Una risposta può venire da Paracelso, medico ed alchimista del 500, quando parlava di “Iliastro”, intendendo l’unità tra Hyle (materia) ed Astrum (astro, spirito) seguendo un preciso rapporto che E. Swedenborg, scienziato e mistico svedese, ha dettagliatamente descritto come “reali corrispondenze”.

Le conoscenze scientifiche attuali hanno pienamente dimostrato l’influenza della psicologia sul biochimismo dell’uomo: il sottile si è densificato. Così è stato possibile studiare e rimediare a malattie che si riallacciavano a certi tipi di personalità: cambiando gli atteggiamenti e dunque alterando la personalità si cambia anche la fisiologia. Recentemente si è aperta una nuova branca della psicologia chiamata psicoimmunologia. Il corpo fisico è dunque Anima densificata, l’Anima è un corpo sottilizzato ed entrambi sono in sostanziale rapporto graduale con tutte le cose in modo unitario come l’iceberg che, nello stadio in cui si liquefa, diviene acqua ponendosi in rapporto unitario con il mare.

W. Pauli ha spiegato che il termine psiche, termine di origine platonica e pertanto pervaso dalla teoria della separazione netta dello spirito dalla materia, ha in sè il pericolo che ci induce ad isolare lo spirito “dai fatti materiali della natura, il cui campo atomico, così come l’inconscio, si può solo determinare indirettamente e non in sé per sé…”. 

Le relazioni psicofisiche costituiscono di fatto, fin dal diciassettesimo secolo, una considerevole fonte di imbarazzo per il mondo della fisica “classica”, giacché proprio in questo ambiente si sarebbero dovute postulare, oltre alle ordinarie relazioni causali che avrebbero retto tutta l’impalcatura teorica della scienza, relazioni di altro tipo, relazioni “parallele”. Ed una relazione “parallela” consiste forse soltanto in una correlazione tra processi fisici e psichici o in qualcosa di più, forse appunto una unità sostanziale tra Anima e corpo, spirito e materia, tra tutte le anime e tutti i corpi? Dunque nella vastità totale, in tutto ciò che esiste unitariamente e che in definitiva si identifica con la vita, con le cose, con la materia, con lo spirito, con le parole, con i pensieri, è verità dell’Anima. 

E’ ormai consigliato fortemente che i malati di ictus vengano curati non solo con le medicine ma soprattutto con l’interazione tra l’Anima ed il corpo offeso, ovvero con quel sentimento che viene chiamato Amore. Chi ha questa opportunità sperimenta che nuove connessioni si formano a livello neuronale e compensano quella tabula rasa che ha prodotto l’ictus, quasi il pensiero, concezione sottile, si rigeneri nel denso con un intervento “amorevole”, “animico”.

E per finire, a proposito di questo rapporto, vanno rammentate le parole di Sarvepalli Radhakrishnan, illuminato commentatore della Bhagavad Gita: “Tutte le forme dell’esistenza si ritrovano in ogni essere… la materia, la vita e la mente che riempiono il mondo sono presenti in noi allo stesso titolo. Noi partecipiamo delle stesse forze che operano nel mondo esterno… la distinzione tra l’Anima ed il corpo, che ricongiunge l’uomo al regno della natura non è una distinzione sostanziale e non può intendersi ed aver luogo nel senso in cui l’affermava Cartesio… la Bhagavad Gita guarda all’una o all’altro come ad aspetti del Supremo…”.

Certo è che l’Anima nel momento in cui si estende a tutte le cose ed in esse si densifica, distorce e soffoca la sua totale libertà, cosicché essa assume nel momento fisico e sociale una realtà paralizzata apparendo, talvolta, irriconoscibile come “Anima”. E’ in questo momento che vi è la presa di coscienza di tutto ciò che nella nostra vita diviene anche terribilmente contrasto, antitesi tra la libertà e la necessità, tra peso e leggerezza, tra divenire e fissità. Il nostro esistere acquista pertanto un nuovo senso solo se la nostra Anima, rinascendo e trasmutandosi continuamente, riesce mediare e superare queste fratture.

Scritto da Ludovico Polastri
È laureato in Ingegneria Meccanica all'Università di Brescia, ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano ed effettuato corsi di specializzazione in ambito:Produttivo, Certificazione dei Sistemi di Qualità e Ambientali Aziendali, Organizzazione e Gestione Ambientale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e  impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance collabora con diverse testate giornalistiche.
 

di Ludovico Polastri


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