E se poi, un bel giorno, scopri che non era vero niente?
Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro,
l’argento, altri metalli. Forse perché si suppone che l’oro, incorruttibile,
possa isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie
avanzate? Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta
paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per
l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel
regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in
Mesopotamia, Theòi in Grecia, mentre Vimana è il nome che in
India designa le antiche, ipotetiche astronavi dei Veda. E ancora: i
semi-dei “venuti dal cielo” prendono il nome di Kachinas in Arizona, Muxul
nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso
i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogo
Una cosa è sicura: a un certo
punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente
apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come
valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati
Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti,
raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili in diverse parti del
mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle
popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per
loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli)
presente in prossimità di certi organi, fegato e reni. Grasso che, una volta bruciato, produce un fumo inebriante e “calmante”,
come spiegano nella Bibbia i sudditi di Jahwè, uno degli Elohim dell’area
palestinese, divenuto celebre attraverso il drammatico racconto biblico.
Jahwè (o anche Jeohwà o Jihwì,
a seconda delle vocalizzazioni convenzionali introdotte solo nel medioevo dai
biblisti ebrei della scuola masoretica) era il dispotico, temutissimo padrone
della famiglia di Giacobbe-Israele, poi successivamente trasformato, dalla
teologia, in “Dio unico”. Nell’antica Roma, quello stesso grasso era chiamato
“omentum”. Stesse disposizioni: era la parte “sacra”, cioè riservata
esclusivamente agli “dèi”, perché fosse bruciata (“sacrificata”) solo per loro,
pena la morte dei trasgressori. Quel particolare grasso che sovrasta gli organi
interni non è come l’adipe, provvisorio e accumulato con l’alimentazione, ma è
un grasso stratificato fin dall’infanzia, addirittura dalla nascita. Se
bruciato, confermano i chimici, produce un fumo che sprigiona molecole
pressoché identiche a quelle delle endorfine, fortemente psicotrope, il cui
odore ricorda il profumo appetitoso che si libera dal barbecue durante una
grigliata.
L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, di ritorno dallo spazio,
ha dichiarato che, lassù, aleggia un odore di carne bruciata. Gli scienziati
spiegano che quell’odore si diffonde, anche in un’astronave, man mano che si
prolunga la missione, perché le condizioni ambientali all’interno del veicolo
spaziale accelerano la morte di milioni di cellule epiteliali – morte che,
appunto, produce quell’odore. Di recente, poi, ricercatori hanno scoperto che
il vino rosso contiene una sostanza particolarissima, il resveratrolo, che
protegge le ossa da svariate complicazioni, inclusa la “friabilità” che
colpisce lo scheletro negli astronauti esposti a lunghi soggiorni orbitali. La
Bibbia racconta che Jahwè beveva vino spesso e volentieri (fece impiantare una
vigna a Noè, subito dopo lo sbarco dall’Arca), mentre i testi sumero-accadici
riferiscono che gli Annunaki gradivano molto la birra. Elohim, Dogu
e tutti gli altri: Figli delle Stelle, scorrazzanti a bordo dei Vimana? “Vimàn” era il nome di una compagnia aerea del Bangladesh, ricorda
Mauro Biglino.
“In India voliamo da tremila anni”, era uno slogan pubblicitario
dell’Air India. El-Al è invece il nome della celebre compagnia israeliana.Se la tradizione rabbinica racchiusa nel Talmud ammette con
assoluta tranquillità la presenza della manipolazione genetica nella Genesi –
basta vedere come vennero al mondo Adamo ed Eva, disse il professor Egael
Safran, rabbino e docente universitario di etica medica in Israele, all’epoca
della clonazione della pecora Dolly – è davvero impossibile trascurare gli
studi più recenti dei genetisti, che mettono in crisi l’evoluzionismo
darwiniano: è come se fosse intervenuto qualcosa a “correggere” l’evoluzione,
accelerandola – non solo per il Sapiens, ma anche per la pecora e la mucca, la
patata, il grano. Cioè gli animali e i vegetali che popolavano il Gan Eden di
cui parla la Bibbia, da cui i primi ibridi – Adamo ed Eva, appunto – furono
allontanati preventivamente, prima cioè che potessero approfondire “le pratiche
dell’albero della vita”, acquisendo cioè le medesime conoscenze e l’estrema
longevità, dunque il medesimo potere, dei loro presunti “creatori”, gli
Elohim, veri specialisti in genetica sperimentale, a quanto sembra.
Emerge un’altra verità, dunque, sui cosiddetti “testi sacri”, da cui
discende un impianto di pensiero – e di potere
– almeno bimillenario.
Non stupisce, quindi, il grande successo dei bestseller
di Biglino, pubblicati anche da Mondadori, né l’entusiasmo delle centinaia di
persone che affollano le sue frequentissime conferenze. Di Biglino si può
apprezzare innanzitutto la correttezza, nella sua impostazione preliminare: non
metto in discussione l’esistenza di Dio, ripete, perché non ho le certezze
degli atei; mi limito a dimostrare che quella della Bibbia non è una divinità
ma solo un Elohim, di cui la
stessa Bibbia nomina almeno una decina di “colleghi”, di
equivalente status, senza peraltro mai spiegare il significato della parola
Elohim, che nessuno al mondo conosce. Inoltre, nella Bibbia non sono presenti,
mai, i concetti-chiave del monoteismo: creazione, eternità, immortalità,
divinità. Il verbo tradotto con “creare” è Baraa, che significa dividere,
separare (i cieli dalle acque, le acque dalle terre – Genesi). E della parola
Olàm, ancora e sempre tradotta con “eternità”, e che in realtà significa “tempo
molto lungo”, i dizionari raccomandano: non tradurla mai con il termine
“eternità”.
Un anno fa, lo scorso 6 marzo, Biglino è stato protagonista,
a Milano, di un importante confronto con eminenti teologi: un importante
sacerdote e docente di teologia dell’università cattolica, un arcivescovo ortodosso,
il rabbino capo della comunità ebraica di Torino e un insigne biblista, pastore
valdese, co-autore di alcuni tra i più importanti dizionari di ebraico e
aramaico antico.
Nessuno ha messo in discussione le sue tesi. Tutti, al
contrario, hanno ammesso che la Bibbia è stata ampiamente travisata. Ma lì si
fermano: non denunciano, cioè, il fatto che venga ancora oggi regolarmente
travisata. Dice Biglino: nel 95% dei casi, chi professa e propaga le grandi
religioni monoteiste che si pretendono originate da quel libro (e quindi: Papi,
vescovi, parroci, catechisti, pastori) non conosce neppure la lingua in cui
quel libro è stato scritto. Pretende di “far dire” a quelle pagine determinate
verità, per di più “sacre”, ma non conosce – alla lettera – il testo, nella
lingua originaria.
Senza contare, poi, che la Bibbia resta una raccolta (non
uniforme) di testi di epoche diverse, tutti senza fonte: non è possibile
risalire con certezza neppure a un autore; nessuno dei testi biblici ha una
chiara paternità – tantomeno i libri più famosi e celebrati, come quello
attribuito al profeta Isaia.
Anche per questo, mezzo secolo fa, i biblisti ebraici hanno varato il
“Bible Project” con il compito, entro 200 anni, di ricostruire una Bibbia più
attendibile. L’unica certezza, dicono, è che la Bibbia di oggi – riveduta e
corretta per l’ultima volta dai masoreti all’epoca di Carlomagno – non è
l’originale. Inoltre mancano una decina di libri, pure citati qua e là: quei
libri sono scomparsi. E le incongruenze sintattiche presenti nella versione
masoretica dimostrano il grado di manipolazione a cui quei testi sono stati
sottoposti, nel corso dei secoli. Biglino dice: mi si rimprovera di offrire una
lettura letterale del testo, anziché allegorica, simbologica, esoterica,
teologica.
Va bene, teniamo pure conto di tutte le interpretazioni possibili.
Ma aggiunge: perché privarci della versione letterale, sia pure di un testo che
sappiamo essere così pesantemente rimaneggiato? Non si sa neppure in che lingua
fosse scritto, l’originale: all’epoca della prima stesura della Genesi, per
esempio, la lingua ebraica non esisteva ancora. Dunque non sappiamo come
fossero scritte, né tantomeno pronunciate, le parole in esso contenute. Poi
intervenne la traduzione in ebraico, ma con le sole consonanti; le vocali furono introdotte solo fra il VI e l’XVIII secolo
dopo Cristo, quando appunto “Yhwh” divenne finalmente “Jahwè” (ma anche “Jihwì”
e “Jeohwah”).
Nonostante tutto ciò, insiste Biglino, perché non provare a
leggere il testo così com’è, dando per buona – per un attimo – l’idea che racconti
fatti realmente accaduti? Si scoprirebbe, conclude, che la storia
narrata – vera o falsa che sia – non è priva di coerenza. Ed è, tra l’altro, la
fotocopia perfetta di molti altri libri antichi preesistenti, “sacri” e non,
come la trilogia fondativa di un popolo geograficamente contiguo a quello
ebraico, i sumero-babilonesi. Quei testi mesopotamici sono l’Atrahasis, l’Enuma
Elish e l’Epopea di Gilgamesh. Raccontano tutti la stessa storia:
e cioè l’arrivo (da cielo?) di individui potentissimi ma non onnipotenti, molto
longevi ma non immortali, in possesso esclusivo di tecnologie fantascientifiche,
decisi a colonizzare territori imponendo la loro legge (i comandamenti di Jahwè
non sono 10, ma oltre 600) e stabilendo alleanze con singole tribù, in lotta
perenne tra loro per la spartizione di piccoli territori. Il patto: voi
lavorate per me (mi servite, mi nutrite, mi bruciate quel famoso grasso e mi
obbedite in tutto) e io vi aiuto a conquistare “terre promesse”. Se
disobbedite, vi stermino. Jahwè, è scritto nella Bibbia, arrivò a uccidere in
massa 24.000 sudditi disobbedienti.
Quello che Biglino contesta è che, nonostante le evidenze e
le conferme provenienti dagli ambiti di studio più disparati (dall’esegesi
ebraica all’autorevole École Biblique dei domenicani di Gerusalemme) le
traduzioni erronee continuino a essere presenti nelle Bibbie attualmente
stampate. In sintesi, il primo “problema” è proprio Dio. Nella Bibbia,
semplicemente, non c’è, dice Biglino. C’è Jahwè, che però è sempre in compagnia
dei “colleghi” Milkòm, Kamòsh, e tanti altri. Viene tradotto con “Altissimo” il
nome Eliòn, che invece è un individuo «chiaramente indicato come il capo degli
Elohim: è scritto nel testo biblico che ne presiede un’assemblea, nientemeno».
E addirittura è tradotto coi termini “eterno” e “onnipotente” il nome El
Shaddai, letteralmente invece “signore della steppa”, cioè l’Elohim nel quale
si imbatté Abramo. Allo stesso modo, altri termini vengono sempre tradotti in
modo consapevolmente inappropriato e fuorviante: Kavod, per esempio. Il
contesto biblico lo presenta come un’arma da guerra,
un oggetto volante e pericoloso, dotato di armamenti micidiali. Viene tradotto:
“gloria”. Così, il “Kavod di Jahwè” diventa la “gloria di Dio”.
Quando appare, il Kavod solleva un gran vento, il Ruach –
che viene tradotto “spirito”. Sotto il Kavod sono fissati 4 Cherubini. Mezzi
meccanici volanti, secondo i rabbini: robot, monoposto. Per l’esegesi teologica
cristiana, invece, i Cherubini sono “angeli”, così come gli altri “angeli”,
incorporei e alati, che la Bibbia invece chiama Malachìm, presentandoli come
individui in carne e ossa, di cui gli umani hanno paura – sono soldati,
ufficiali degli Elohim, portaordini pericolosi e molesti, inquietanti. Si
racconta di un angelo che apparve alla vista di Gedeone, «volando con
leggerezza», per poi «scomparire», mentre nell’originale, in ebraico, il testo
dice semplicemente che «il Malach» si fece vedere dal testimone, e poi «se ne
andò camminando». Pura invenzione, il volo, così come l’attraversamento
miracoloso del Mar Rosso: «Nel testo c’è scritto che Mosè e i suoi
attraversarono solo uno Yam Suf, un canneto.
Nessun mare, tanto meno Rosso».
Quanto agli “angeli”, più tardi, il fondatore del cristianesimo, Paolo
di Tarso, raccomanda alle giovani donne di coprirsi il capo con il velo, se
partecipano ad assemblee, e di farlo «a motivo degli angeli», poiché –
come si spiega in altri passi – sono sessualmente eccitabili e poco
raccomandabili, violenti. Biglino “corregge” anche l’interpretazione della
comparsa dell’Arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione evangelica:
«Gabriele non è un nome proprio ma solo un termine comune, funzionale: deriva
da Ghevèr-El, e essere “il Ghevèr di un El”, per di più “arcangelo”, significa
essere un potente ufficiale di alto grado».
Dallo studio condotto da Biglino
appare evidente la fabbricazione artificiale di un culto, la cui radice viene
attribuita a un libro debitamente leggendario, in quanto antico, scritto in una
lingua sconosciuta ai più. Lo studioso contesta chi ritiene obbligatoria una lettura
necessariamente cifrata: «Quando furono scritti, i testi biblici, a saper
leggere e scrivere erano in pochissimi: perché mai avrebbero dovuto nascondere
il loro racconto sotto il velo simbolico-allegorico?».
La prima versione della Bibbia divulgata nel Mediterraneo
oltre la Palestina, detta “Bibbia dei Settanta”, fu tradotta in greco ad
Alessandria d’Egitto, secondo Biglino ricorrendo a una massiccia interpolazione
interpretativa ispirata dal pensiero platonico, che – a differenza della Bibbia
– contempla le nozioni filosofiche di trascendenza, divinità, creazione,
eternità. Gli ebrei considerano la
“Bibbia dei Settanta”, letteralmente, «una tragedia per
l’umanità». Eppure, sottolinea lo stesso Biglino, è proprio quella Bibbia in
greco ad aver poi originato quella in latino, che è alla base della teologia
cattolica e quindi delle Bibbie in italiano per le famiglie. Il lavoro del
ricercatore torinese non mette in crisi solo la teologia ufficiale su cui si
basano le istituzioni religiose, ma anche
l’esegesi alternativa fornita dall’esoterismo,
acutamente suggestiva, fondata sulla lettura allegorica e simbolica del testo –
lettura che, come quella cattolica, non mette mai in discussione la presenza
della divinità nell’Antico Testamento.
Certo è singolare la diffusione, negli ultimi anni, di una tale quantità
di informazioni, ormai di pubblico dominio, che riguardano in particolare
l’interpretazione della storia antica, sacra e non, ma anche una
radicale rilettura dell’approccio scientifico alla conoscenza, rivalutando sia
i testi sacri, fondativi delle grandi religioni, sia l’opera di esoteristi
particolarmente illuminanti – filosofi, medici, artisti, alchimisti,
proto-scienziati – che tendono a fornire chiavi di interpretazione delle “leggi
universali”, cioè le “leggi di natura” di cui, ogni tanto, affiorano nuove
tracce anche in ambito scientifico, da indagini sull’energia
e sulla reale consistenza della materia. Da qui le più recenti riflessioni sulla percezione
del tempo e della vita stessa, sulla cosiddetta Energia
Oscura, sulla Materia Bianca cerebrale di cui i neurologi ammettono di essere a
corto di informazioni.
Fisici come Vittorio Marchi e Giuliana Conforto sostengono
che la realtà sensibile non sia altro che rappresentazione, e che il nostro
cervello non percepisca che il 2% di quanto ci circonda, sulla Terra – per non
parlare dell’universo, di cui non sappiamo molto, al di là del nostro piccolo
sistema solare. Un numero sempre maggiore di storici e antropologi sospetta che
la storia sia interamente da riscrivere: a
quanto pare non furono gli egizi a erigere le piramidi; quelle scoperte in
Bosnia sono più antiche e più grandi di quelle dell’Egitto. Né tanto meno
conosciamo la storia misteriosa dei Sumeri, che sorsero
all’improvviso come civiltà già formata, in possesso di conoscenze evolute
(architettura, agricoltura, scrittura). Forse, ipotizza Biglino sempre
prendendo la Bibbia alla lettera, i Sumeri erano la discendenza di Caino, che –
essendo cresciuto nel Gan Eden – era stato formato e istruito dagli Elohim.
L’esegesi ebraica ormai sospetta che Abramo, storicamente,
non sia mai esistito. Quantomeno, ipotizza Biglino, il personaggio
biblico rispondente a quel nome era evidentemente un sumero, spinto dagli
Elohim a vagare “lungi dalla casa di padre mio”, viaggiando fino in Palestina.
Poi, i Sumeri scomparvero di colpo, in coincidenza con la distruzione delle
città ribelli di Sodoma e Gomorra, operata dagli Elohim che impiegarono “l’arma
dei terrore”, che sprigionò nell’atmosfera una nube letale – i venti dovettero
sospingerla fino alla regione di Babilonia, dove è documentata la strage della
popolazione (con sintomi da contaminazione nucleare) e la fuga precipitosa
degli “dèi” locali, gli Annunaki, che presero il largo a bordo dei loro “carri
celesti”, in tutto simili al Kavod di Jahwè. A morire, sul posto,
restarono gli umani – o meglio gli Adàm, per dirla con Biglino: creazioni di
laboratorio, “fabbricate” non si sa dove e poi “poste in Gan Eden”; riprodotte
in serie per lavorare, come docili schiavi, per conto dei misteriosi Figli
delle Stelle.
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